sabato 4 aprile 2009

Riflessioni giornaliere dal Diario di Padre Pasquale SSC su alcuni "Detti e Pensieri" di S. Giuseppe Cottolengo, a cura di Lino Piano


Numero 14


La vostra carità deve essere condita con tanto buona grazia e belle maniere, che tuttavia con queste possiate guadagnare gli spiriti; e ha da essere come un piatto ben acconcio, la cui vista eccita l’appetito.

Riflessione

Per la comunione, il linguaggio più importante è quello non verbale: il gesto, lo sguardo, il tono della voce, l’atteggiamento del corpo.
Dio ha piantato la sua tenda in mezzo a noi. Dio è compagno di viaggio, con tutta la fragilità e la vulnerabilità del nostro essere umano, e cammina nel deserto della vita insieme a noi.
Ognuno di noi deve diventare presenza in carne e ossa del Cristo, per permettere un incontro, una presenza in mezzo alla gente, una presenza che sarà relazione, comunione dei cuori, comunità.
Oggi tanti cuori sono feriti. Molte persone hanno una psiche e un corpo fragili. Molti vivono con un senso di fallimento e non riescono a trovare significato alla loro vita.
Come Gesù, noi tuoi discepoli siamo chiamati a discendere nella sofferenza di tanti fratelli e sorelle e lasciarci interrogare dal loro silenzio.
La nostra presenza accanto a coloro che vivono con un senso di fallimento,sia reale come la Tua presenza è reale nella Eucaristia. La nostra presenza sia delicata nel loro cuore e nella loro vita, senza invadere la loro intimità.
Questa presenza riveli loro che Tu li ami oggi, e possano a loro volta dare vita e speranza agli altri. Nell’adorazione di Te presente nell’Eucaristia insegnaci quel linguaggio non verbale che è anche il linguaggio universale dell’amore.



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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