domenica 5 aprile 2009

Riflessioni giornaliere dal Diario di Padre Pasquale SSC su alcuni "Detti e Pensieri" di S. Giuseppe Cottolengo, a cura di Lino Piano


Numero 34


a) Qua dentro non si deve mai trovare un letto vacante: Che ci debbano essere letti bis, lo comprendo, ma letti vuoti mai. b) Non siamo qua per guardare letti, ma per custodire i poveri ammalati; ed è perfettamente inutile avere i primi, se non li facciamo occupare dai secondi. Dunque giù a forza poveri infermi, e fiducia e sempre fiducia.

Riflessione

Spesso abbiamo paura di amare e di essere amati. Al fondo, c’è sempre una mancanza di fiducia, la pura che, se l’altro si avvicina troppo a me, scopre la mia povertà fondamentale e perde la bella immagine che aveva di me. Meglio conservare una certa distanza perché, se si avvicina troppo, rischia di scoprirmi così come sono.
C’è anche la paura dell’impegno. Alcune persone, nel momento di prendere un impegno, sono prese da un vero panico ed entrano in confusione. E questo succede più speso di quanto si pensi. Quando si è tesa la mano a qualcuno che ne ha bisogno e ci si rende conto che ci sarà una dipendenza reciproca, questo può gettare nel panico. In altre parole più semplici: quando nasce la fiducia reciproca, questo può diventare pericoloso, perché si scopre di essere impegnati l’uno nei confronti dell’altro. Anche Gesù Cristo può mettere paura. Conosciamo il nostro piccolo mondo, abbiamo le nostre abitudini, i nostri amici, il nostro numero di ore di sonno… Ma se noi decidiamo di seguire Gesù? Se lasciamo che metta sottosopra tutto questo? Il Cottolengo non si lasciava condizionare dal numero dei poveri da amare e dalle strutture, ma puntava tutto nel dono di se stesso e delle persone che servivano gli ammalati. La paura dell’impegno paralizza molti cuori!

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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