sabato 11 aprile 2009

Riflessioni giornaliere dal Diario di Padre Pasquale SSC su alcuni "Detti e Pensieri" di S. Giuseppe Cottolengo, a cura di Lino Piano


Numero 67

Vedete, figlie mie,quasi tutti i nostri stabilimenti, non eccettuata la Piccola Casa, hanno le loro contrarietà belle e buone, ma io ne sono contento, e dovete esserne contente anche voi, perché questo è un segno certo che il Signore li aggradisce; se non fossevi niente di contrario io temerei e temerei molto; epperciò rallegriamoci pure; quando il Signore permette qualche cosa per provarci, vuol dire che ci ama, che si ricorda di noi, che è in mezzo a noi. Diremmo forse che non amasse Abramo, Giacobbe ed il santo profeta Giobbe? Eppure quante tribolazioni non ebbero! Rallegriamoci adunque, perché a tal modo abbiamo un pegno sicuro dell’amore che il Signore ci porta.


Riflessione

Se le nostre fondamentali aspirazioni sono in parte soddisfatte, che straordinaria ricchezza!
L’altro non è più l’inferno bensì il paradiso. Si è stabilita con lui una misteriosa comunione in cui, pur restando me stesso, divento l’altro; le nostre due libertà – restando ognuno integralmente se stesso – si sono fuse in un medesimo abbraccio da cui scaturisce la vita.
Il nostro cuore, quando è mosso dall’amore, è qualcosa di meraviglioso; siamo capaci di compiere le azioni più grandi e più belle.
Ma come essere presenti all’altro? I nostri cuori sono così induriti: siamo talmente insensibili all’altrui sofferenza… ne ho abbastanza della mia!
Essere contenti delle contrarietà come segno del nostro essere graditi al Signore.. umanamente parlando è assurdo.
Preghiamo affinché lo Spirito Santo tramuti i nostri cuori di pietra in cuori di carme. Perché l’amore è qualcosa in cui si dà la vita… e ne vale la pena!
L’Amore dà vita.


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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