mercoledì 29 aprile 2009

Sensazioni

[...] Qui a Chaaria davvero si sperimenta una certa solitudine che è un richiamo alla solitudine propria del consacrato che non ha una famiglia, che non ha figli propri e quindi di dà, corpo ed anima, per i figli degli altri, li cura, soffre per loro, se li porta nel cuore, ma poi, quando la malattia è finita ed i poveri se ne sono andati, magari senza ricordarsi di dire grazie, si ritrova solo e deve rinnovarsi nella convinzione che Dio e Dio solo basta.

[...] La mancanza di gratitudine e’ un problema che si sperimenta ovunque. Se ne e’ lamentato anche Gesu’, ma anche a questo si puo’ sopravvivere, soprattutto se si cerca di fare tutto per il Signore. Se ci si aspetta umana riconoscenza sovente si rimane molto depressi e delusi. E’ indubbio che anche qui ci siano molti poveri, ma non mancano certo i disonesti… Noi cerchiamo di aiutare tutti e quando veniamo ingannati pensiamo che un giorno o l’altro il Signore metterà a posto ogni cosa.

[...] La pioggia e’ certo una grande benedizione, ma e’ pur vero che venire a fare volontariato nella stagione delle piogge significa anche accettare di essere tagliati fuori; significa essere sporchi di fango da mattina a sera; significa che devi accettare i poveri per quello che sono: sporchi e puzzolenti, stanchi e spesso arrabbiati per aver dovuto camminare otto ore nel fango prima di raggiungere l’ospedale.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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