mercoledì 29 aprile 2009

Un seme di speranza da Mar Rosso

E’ il titolo della agile biografia di una suora cottolenghina missionaria in Kenya all’inizio del secolo scorso. Si tratta della rivisitazione in chiave moderna di un’altra interessante biografia gia’ esistente alla Piccola Casa e portante il titolo: “TRA LE ONDE DEL MAR ROSSO”.
E’ una storia avvincente che ci porta a contatto con le difficolta’ estreme incontrate nei primi anni del ‘900 dalle Suore del Cottolengo, che hanno accompagnato i primi missionari della Consolata nel durissimo lavoro di evangelizzazione in Kenya. Erano anni di fame, di altissima mortalita’ per malattie per la maggior parte ancora sconosciute, di difficolta’ estreme di comunicazione con l’Italia: ci voleva circa un mese a raggiungere il porto di Mombasa da Genova, e poi le centinaia di chilometri che separano la costa dal Meru, venivano percorsi a piedi o in groppa ad un mulo. La prima Guerra Mondiale ha poi completamente impedito anche lo scambio epistolare per circa 5 anni.
Tempi eroici, in cui donne come Sr Maria Carola Cecchin hanno dato la vita per seminare il Vangelo tra persone che gia’ vivevano il dramma della colonizzazione, e quindi non vedevano di buon occhio gli “uomini bianchi”.
Sr Maria Carola “attrae perche’e’ tra le prime esperienze di vita missionaria di suora europea; avvince perche’ la sua esistenza si e’ conclusa con una tragica morte tra le onde del Mar Rosso, durante il ritorno a Casa Madre, nella Piccola Casa di Torino”’
Sono convinto che questo libretto piacera’ a molti di voi, come e’ piaciuto a me. Ecco i dati completi:

PAOLO RISSO
Un seme di speranza dal Mar Rosso
ELLEDICI

PS Domani e’ la festa di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, un giorno importante e bello per tutti noi.

Fr Beppe

SemeDiSperanza.jpg


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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