martedì 19 maggio 2009

Chaaria News


1) Ventiquattr’ore di fuoco in maternita’: 12 parti di cui 2 cesarei. Purtroppo uno dei due tagli ha dato esito ad un feto morto. Ci e’ spiaciuto molto perche’ dal nostro punto di vista abbiamo veramente fatto tutto quanto potevamo. La mamma era arrivata pochi minuti prima che fossimo pronti in sala. Era mattino prestissimo, ed ho lavorato con lo staff della notte. L’intervento e’ stato veloce e senza particolari problemi, ma siamo arrivati tardi. La donna aveva camminato per quasi 12 ore prima di giungere a Chaaria verso le 6.30 del mattino. E’ stata dura soprattutto darle la notizia. Si trattava di una primipara che ora ha una cicatrice e non ha un bimbo. La situazione era resa ancora piu’ laceramte dal fatto che, mentre le dicevamo che il suo bimbo aveva smesso di respirare, un’altra donna ha partorito nella stanza a fianco, ed il neonato piangeva in modo particolarmente vigoroso. Le sue lacrime silenziose mi hanno fatto immaginare l’abisso di disperazione nel profondo del suo cuore. Il dolore di una mamma che perde un figlio cullato e custodito nella mente e nel ventre per nove mesi, e’ qualcosa di tremendo, davanti al quale mi sento ogni volta confuso e senza parole.



2) Abbiamo avuto una settimana veramente dura con molte chiamate notturne, per lo piu’ dovute a casi di maternita’ complicata. Cinque chiamate in sette giorni sono state una vera sfida per le nostre forze fisiche e psicologiche. Sono anche state una verifica per il nostro desiderio di dedizione totale.



3) Oggi Naomi e’ riuscita a fare i primissimi passi senza l’uso del girello. E’ stato un momento di grande commozione sia per lei che per tutti noi.


Fr Beppe



Neonato.JPG


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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