venerdì 12 giugno 2009

Mohamed è in paradiso


E’ veramente un mistero cosa passa per la testa dei pazienti quando si stanno preparando ad andare in cielo.
Mohamed, di cui vi ho parlato qualche giorni fa sul blog, stava veramente meglio, anche se continuava a lamentare una sensazione di estrema chiusura a livello del torace, tanto da non riuscire a respirare bene.
Il vomito era diminuito. Poteva bere latte e frullati.
Soprattutto il morale era molto alto. Sempre pronto a farti un sorriso, a dire grazie anche per i servizi piu’ insignificanti.
Ieri poi era particolarmente felice di Rossella, che ha speso molto tempo facendogli il bagno e poi spalmando la sua pelle disidratata con della crema emolliente e profumata.
Verso le 22, mentre completavo l’ultimo giro visita con i pazienti, Mohamed mi ha chiamato ripetutamente: ero molto stanco per una chiamata notturna dovuta ad una ferita da panga, ma ho pensato che non potevo ignorarlo.
Mi sono seduto sul suo letto, aspettandomi una lunga serie di problemi e di sintomi ancora presenti. Invece lui ha sorriso e mi ha detto di essere felicissimo di Rossella; mi ha chiesto di ringraziarla da parte sua, in quanto tra loro c’era completa incomunicabilita’ dovuta alla barriera linguistica.
Poi mi ha fatto scivolare in mano parecchie banconote da 1000 scellini. La mia prima reazione e’ stata di rifiuto: “Non devi darmi alcuna mancia. Noi lavoriamo per Dio e per te. Non e’ davvero necessario, amico mio”.
“Non e’ una bustarella. Volevo solo che tu custodissi questi soldi. Li ho tenuti nel letto parecchi giorni, ma ora sento che sto morendo, e quindi non vedo il caso di avere con me questo denaro che puo’ anche essere rubato da altri malati mentre dormo”.
“A giudicare dal tuo aspetto e dal tuo sorriso, non penso che tu stia per morire. Buona notte”.
Poi stamattina alle 6 sono stato chiamato per un altro caso di violenza da machete, e mentre iniziavo a suturare, l’infermiera mi ha confidato: “Lo sai che il tuo amico Mohamed e’ morto veramente pochi minuti fa? E’ passato dal sonno alla morte in pochissimi istanti, e credo che non si sia accorto di nulla. E’ proprio vero che i malati se lo sentono quando la vita scivola via!”
Un po’ sconvolto dalla notizia davvero inaspettata ho aggiunto: “ E’ in effetti misterioso, ma succede cosi’ spesso che anche bambini molto gravi prevedano la loro dipartita. Chissa’ cosa provano!”
Ora che Mohamed e’ nel suo Paradiso Musulmano, gli chiedo di pregare Allah (che poi non e’ altro che il mio stesso Dio) di darmi la forza della dedizione incondizionata a chi soffre, di insegnarmi che il tempo speso al capezzale del malato non e’ mai sprecato, anche se si tratta solo di ascoltarlo e di dargli l’impressione di avere qualcuno vicino.
La mia breve storia con Mohamed mi fa pensare tanto a Madre Teresa mentre raccoglie moribondi sui marciapiedi di Calcutta insieme alle sue piccole sorelle ed ai suoi fratelli della carita’: il loro compito primario era quello di accompagnare i miserabili nel momento estremo della morte: morire puliti ed accuditi, con la percezione di non essere abbandonati, con la certezza che Dio ha mandato qualche angelo a prendersi cura di loro… e’ una grande missione, forse insignificante secondo i parametri di una medicina quantistica e molecolare, ma centrale in una visione spirituale della nostra professione.
Buon riposo, Mohamed.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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