venerdì 26 giugno 2009

Uno strano caso di occlusione

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Cris e’ arrivato in ospedale verso le 11 a.m. del 23/6/09. Non poteva camminare e la sua mamma lo portava in braccio. Faceva molta fatica a respirare ed aveva un pancione enorme.
Pensavo che avesse ascite (=acqua nella pancia) e ho fatto l’ecografia, ma con sorpresa ho visualizzato solo aria. Inoltre le anse intestinali si muovevano in modo convulso sotto la cute tesa dell’addome, quasi fossero un grande pitone.
“Da quanto tempo non va di corpo?”
“Da tre giorni”, mi dice la mamma con certezza.
Purtroppo questi sono i casi in cui mi sento incapace e frustrato:
“Cara signora, questa sembra una occlusione intestinale, una condizione seria che richiede un’operazione urgente, che noi non siamo in grado di fare. Il bambino pero’ deve essere andare in sala oggi. Non piangere ora… piangere non e’ la soluzione! Sii forte: ti accompagnamo noi in un altro ospedale, dove un bravo chirurgo sapra’ aiutare il tuo bambino che sorridera’ di nuovo quando sara’ guarito”.
I tempi di organizzazione sono stati brevi. Tharamba e’ stato l’infermiere scelto per accompagnare Cris in ambulanza, ed in meno di 20 minuti, la macchina, pilotata dall’espertissimo Kabithioli, e’ partita con un nuvolone di polvere alle spalle.
Oggi ho avuto una riunione clinica nello stesso ospedale in cui avevamo portato il piccolo. Ho deciso di passare a vedere le sue condizioni generali. L’ho trovato seduto sul letto, completamente nudo, corona del rosario al collo, e con la ferita scoperta: “mi hanno detto di tenerla cosi’ finche’ il violetto di genziana asciughera’”.
“Tutto OK?”, ho accennato con il police in su.
“Benissimo. Vuoi vedere che cosa mi hanno tolto dalla pancia? Guarda sul comodino! Sono tutti vermi che si erano attorcigliati l’uno all’altro ed avevamo formato come un tappo. Mi hanno raccomandato di smetterla di mangiare con le mani sporche”.
“E bravo Cris… cosi’ eri pieno di vermi. Sono felice per te. Tienili come ricordo, e falli vedere agli altri bambini, in modo che capiscano cosa succede a chi si nutre con le mani zozze”.

PS. I vermi nella foto si chiamano ascaris lumbricoides e sono molto frequenti dalle nostre parti, anche se sono presenti in tutto il mondo.
Spesso non danno alcun sintomo, e la madre ci porta il bambino solo perche’ ha defecato o vomitato un verme. Altre volte danno malessere generale, vago dolore addominale e talvolta una forma asmatica transitoria che si chiama polmone eosinofilo.
Possono pero’ dare complicazioni: nel caso di Cris hanno formato una matassa, occludendo l’intestino. Altre volte ci sono complicazioni legate alla migrazione del verme: abbiamo avuto un caso di sordita’ monolaterale, che e’ totalmente regredita quando abbiamo dato la terapia per devermizzare il bambino… un ascaride era risalito nella tromba di Eustachio dell’orecchio. Abbiamo registrato almeno due casi di colica biliare dovuta all’occlusione del coledoco da parte di un ascaride.
La trasmissione e’ fecale orale: il paziente cioe’ si infetta toccando alimenti sporchi di feci, o mangiando terra (pratica a volte frequente tra i bambini), o bevendo acqua inquinata da edscrementi di persone infette.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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