Ieri ho rivisto una coppia che non vedevo da tempo. Sono inconfondibili perche’ lui e’ sempre piuttosto stracciato nel modo di vestire, mentre lei e’ certamente piu’ ordinata, ma ha un andamento claudicante tipico dei poliomielitici che hanno un arto piu’ corto ed atrofico del controlaterale.
Lei e’ vistosamente incinta, probabilmente quasi a termine. Entrano nel mio studio sorridendo. Il marito e’ molto loquace e mi dice: “ti ricordi 4 anni fa? Era notte e ti abbiamo portato mia moglie perche’ non era riuscita a partorire a casa. Era stato un cesareo complesso, e Gladys aveva dovuto subire almeno due trasfusioni... ma adesso eccoci qui: questo e’ il frutto del tuo buon lavoro; si chiama Valentine...”
“Saluta il dottore, dagli la mano e non aver paura della sua pelle bianca”.
“Valentine e’ davvero intelligente, lo sai? La faro’ studiare come te, perche’ diventi dottoressa ed aiuti tanta gente come fai tu... che Dio ti benedica”.
La piccola e’ proprio carina e non si mette ad urlare quando provo a prenderla in braccio. Che commozione veder crescer quei bimbi che sono vivi grazie alla nostra mano in sala operatoria! Riflettere sulla nostra missione di medici, e sullo stupendo compito di salvare vite umane, e’ spesso un’ esperienza che mi tocca fino alle lacrime. Guardare negli occhi questa bambina mi riporta indietro a quegli attimi in cui probabilmente abbiamo tremato perche’ la mamma aveva smesso di respirare dopo la spinale e l’ abbiamo rianimata; mi fa ripensare all’ansia provata quando forse non riuscivo a fermare l’emorragia e Jesse mi diceva ripetutamente che la pressione scendeva o non era piu’ udibile; rievoca in me gli sforzi fatti per riprendere all’ultimo momento la piccolina che non voleva saperne di respirare da sola.
Tutto questo pero’ viene ampiamente ripagato dalla gioia di aver dato un figlio ad una coppia, e di aver offerto un futuro ad una creatura che probabilmente sarebbe morta alla nascita.
Faccio l’ecografia alla donna, ed ancora una volta mi rendo conto che la polio ha causato deformita’ molto significative alle ossa del bacino, ed ha reso praticamente impossibile un parto naturale. Raccomando quindi a Gladys di non ripetere lo sbaglio della prima volta.
“Partorire a casa e’ un suicidio. Non ce la faresti mai, e correresti il rischio di aver atteso il tuo bambino per nove mesi, solo per vederlo poi morire durante il travaglio. Anche tu correresti dei rischi notevoli, a causa della precedente cicatrice. Vieni dunque in tempo... almeno una settimana prima della data attesa del parto, e programmeremo l’operazione senza ansia, e senza tutte le immancabili complicazioni che si verificano quando si va in sala troppo tardi. E poi considera che e’ totalmente diverso essere operati durante il giorno, quando tutto lo staff anche anestesiologico e’ presente, rispetto ad una emergenza notturna, quando siamo stanchi ed in numero esiguo”.
Entrambi mi dicono di aver compreso bene i rischi connessi, e mi promettono che saranno fedeli alle indicazioni loro date.
Fr Beppe
Ancora siccità...
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