domenica 23 agosto 2009

Josphine Kawira


Sono stata a casa per due settimane da mio papà, in una situazione di povertà radicale a cui non sono nemmeno più abituata, dato che, a confronto di casa mia, la scuola dove mi trovo è una reggia.
Oggi sono rientrata in collegio per delle lezioni di recupero. Infatti sto studiando molto perchè faccio sempre due anni in uno. A settembre dovrei iniziare la terza elementare. Beppe spinge continuamente sul fatto che non devo mollare, e che devo recuperare gli anni persi precedentemente. So che ha ragione perchè non piace neanche a me essere in classe con compagni e compagne che mi arrivano all'ombelico e che parlano di cose così infantili che non mi trovano per niente interessata.
Con questa letterina ripeto il mio grazie a Francesco Bevilacqua di Napoli per il continuo supporto nel pagamento delle mie tasse scolastiche. Grazie anche alle volontarie di Brescia appena partite. I vestiti che ho indosso me li hanno dati loro.
Con un po' di vanità femminile mi son fatta fare le trecce, per coprire le vecchie cicatrici del machete: sono bella vero? Anche gli orecchini me li ha regalati una volontaria. Vero che ormai sembro una signorina? Grazie che mi volete bene. Il vostro affetto mi aiuta a dimenticare quanto mi è successo, ed a superare la tristezza che a volte mi prende quando penso alla mia mamma che nemmeno conosco.
Ciao.

Josphine Kawira




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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