E’ un argomento tabu’, ma in punta di piedi lo affronto, senza riferirmi a nessuno in particolare e comprendendo che sono io il primo a non comportarsi bene come sarebbe necessario.
Mi sento comunque di poter dire che e’ sempre negativo quando succedono alterchi che coinvolgono i volontari, soprattutto quando la conflittualita’ si verifica di fronte e tutti, malati compresi.
Molte volte noi non ci chiediamo che cosa pensa la gente locale dei nostri comportamenti.
Per esempio in passato ho accennato al problema delle donne che fumano in pubblico... cosa ancora non concepibile nella cultura dei Meru. Eppure alcuni lo fanno, anche nei cortili dell’ospedale.
Un altro elemento che per la cultura locale e’ causa di sconcerto e’ il fatto che le correzioni vengano fatte in malo modo, alzando la voce, e soprattutto in pubblico.
Per noi italiani puo’ essere normale sbraitare, ma per loro non lo e’: gli Ameru vogliono essere ripresi in privato e con tono di voce pacato. Per cui, prima di “urlare dietro” ad un nostro infermiere, un volontario dovrebbe chiedersi se il suo sfogo emotivo non provochera’ danni peggiori del male che la “ramanzina” vorrebbe tentare di correggere. E dovrebbe anche considerare che la reazione del nostro staff sara’ molto probabilmente quella di “fare il muso” per giorni... e coloro che ne faranno le spese saranno ancora e sempre i malati.
Se poi capita che siano due figure professionali volontarie ad andare in conflitto, e ad esprimere la conflittualita’ con un incontro di “pugilato verbale” nel bel mezzo del reparto, anche questo non credo che porti alcunche’ di buono: i Kenyoti non sono certo dei santi, ma e’ chiaro che certi comportamenti davanti a loro non danno una buona impressione della nostra cultura, dove, come a loro puo’ apparire, non abbiamo alcun rispetto nemmeno per i pazienti che a noi si affidano: come faranno gli stessi malati a fidarsi ancora di due medici che hanno apertamente urlato l’uno contro l’altro di fronte ai loro letti? E’ chiaro che i degenti spesso non seguiranno il filo del discorso a causa della barriera linguistica, ma e’ evidente che non bisogna conoscere l’idioma per comprendere che due persone se le stanno dando di santa ragione.
E normale che ci possano essere diversita’ di vedute sulla terapia, ed e’ altrettanto evidente che non siamo certo perfetti, e che di errori se ne fanno sempre tanti... ma ci si puo’ parlare in modo civile, se sinceramente il fine e’ quello di portare ad un miglioramento. Se una osservazione e’ fatta con gentilezza, ci sono possibilita’ reali che il nostro personale la accolga e cerchi di cambiare. Se invece e’ fatta in modo sgarbato, essi rifiuteranno di applicare anche dei suggerimenti giusti.
C’e’ poi il discorso della vita comune: viviamo insieme. E’ brutto quando ci sono screzi tra volontari che poi si dovranno incontrare alla stessa mensa. Io credo che i volontari debbano conservare l’idea che la loro esperienza e’ un periodo particolarmente importante della loro vita, in un ambiente che non e’ il loro: proprio per questo dovranno cercare di evitare conflittualita’ inutili, che lascerebbero magari l’amaro in bocca al nostro staff, dopo aver lavorato benissimo e con estrema dedizione per tutti gli altri giorni dell’esperienza... cosa serve litigare per poi tornarsene in patria dopo pochi giorni?
Naturalmente scusiamo e comprendiamo il momento di scatto, o il giorno con la luna storta; ma, almeno come ideale, bisognerebbe puntare ad evitare la conflittualita’.
Tante cose certo qui non vanno, tanto in reparto quanto in ambulatorio... ma tante le abbiamo gia’ fatte, e miglioramenti sono indubbiamente avvenuti nel corso degli anni, nonostante i nostri limiti.
Questo mi porta a sussurrare un altro punto: e’ vero che si puo’ far meglio, ma e’ anche la sacrosanta verita’ che qualcosa gia’ funziona... e ci farebbe piacere sentircelo dire, insieme a tutti i suggerimenti che ci vengono offerti per un miglior servizio.
Vorrei concludere questa breve riflessione (qualcuno dira’ che e’ una predica), dicendo che io non mi sento certo migliore, e che a volte anche a me la stanchezza gioca degli scherzi che portano i miei nervi a fior di pelle, facendomi saltare come una molla nel momento meno opportuno. Penso che sia umano! Queste cose ce le diciamo non per puntare il dito l’uno contro l’altro, ma con lo stesso atteggiamento con cui parliamo di igiene da migliorare o di terapie da perfezionare. Ci rendiamo cioe’ conto che questi momenti bui tra di noi non fanno crescere la nostra esperienza missionaria; ce lo diciamo... riconosciamo che ci cadremo di nuovo (io per primo), ma ci sforzeremo di evitarli.
Ripeto che non vuole essere un discorso accusatorio... se volete potrebbe far parte di una riflessione costruttiva prima della partenza per Chaaria.
Non che sia un problema solo nostro: l’ho visto a Karungu, come a Mapuordit, a Nkubu come a Matiri. Ma non vogliamo pensare che “mal comune, mezzo gaudio”, e ci vogliamo impegnare a fare sempre meglio.
Fr Beppe
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