mercoledì 24 marzo 2010

Non è mai la stessa cosa

Fare il medico puo’ dare l’impressione di aver visto tutto e di essere abituato a fronteggiare qualunque tipo di sofferenza.

Stare in Africa per molti anni poi, puo’ offrire un angolo visuale ancora piu’ ampio: si e’ sempre in trincea. Bisogna fronteggiare problematiche chirurgiche e mediche, pediatriche e geriatriche. Accogli la vita nascente, ma ti trovi spesso davanti ad un nato morto. Gioisci quando una persona va a casa dopo una appendicectomia, ma rimani senza parole ogni volta che perdi un giovane a causa dell’HIV.

Eppure avverti che riesci comunque a tenere tutto sotto controllo e che i tuoi nervi reggono.

Ma quando e’ una persona cara ad ammalarsi... e soprattutto se sei lontano, la lucidita’ mentale vacilla; le emozioni vanno alle stelle e diventano quasi subito incontrollabili.

Hai gli strumenti scientifici per capire che “devi stare tranquillo”, che la situazione e’ del tutto gestibile... ma in questo caso la tua “materia grigia”si dissocia dal cuore che inizia ad avere le sue palpitazioni autonomamente, anche quando i tuoi emisferi cerebrali provano a dirgli “che va tutto bene”.

L’esperienza della malattia di una persona cara lontana, ci ricorda la nostra umanita’ limitata: “cosa possiamo fare a 6000 chilometri di distanza?”... e ci fa toccare con mano la nostra fragilita’: non siamo delle macchine da lavoro, e non e’ affatto la stessa cosa gestire una brutta notizia che riguarda un estraneo ed una che colpisce qualcuno che si ama.

Ma la vita e’ cosi’. Si pensa sempre che capiti agli altri.

Si fanno statistiche e si elaborano grafici sulle varie patologie, senza pensare che ogni millimetro delle colonne che il computer disegna e’ costituito da tanta sofferenza, spesso inespressa o non ascoltata.

Credo che la malattia sperimentata su chi ami ti renda anche meno cinico: la smetti immediatamente di dire parole vuote, come per esempio: “vedrai che andra’ tutto bene!”; cessi di fuggire o di essere nervoso od evasivo con un parente ansioso che vuol conoscere i dettagli di una patologia che ha colpito un loro congiunto... perche’ anche tu ora sei impotente e debole, ed hai un estremo bisogno di spiegazioni... ma soprattutto di empatia e di sostegno.

La malattia dei parenti poi ci riporta all’essenziale della vita: a che pro spendere le nostre giornate in continui alterchi, o magari optando sempre per il confronto con i cosiddetti oppositori? Che senso ha litigare, e cercare sempre di primeggiare o di umiliare gli altri? La vita e’ il dono piu’ prezioso di Dio, insieme alla salute... ma nessuno ci pensa a sufficienza; normalmente ne prendiamo coscienza quando il dono se ne sta andando: ci si rovina l’esistenza altercando per cose futili, come il potere o l’aver sempre ragione; si cerca la felicita’ schiacciando il prossimo, e non la si trova mai... Poi, quando la salute se ne va, ci si rende conto di aver perduto un sacco di tempo, mordendoci la coda e girando in tondo... si prende coscienza del fatto che bisogna riorganizzare bene le proprie scale di valori, per non perdere di vista la meta: piu’ vado avanti, e piu’ sperimento il rullo compressore della vita che schiaccia pian piano con il suo peso a volte quasi insopportabile; e nello stesso tempo sempre piu’ mi convinco che ha proprio ragione San Paolo, quando dice che una sola cosa conta: il volerci bene. Perche’ alla fine tutto finisce: le cariche, gli onori, il plauso della gente. La malattia ci puo’ spogliare di ogni cosa, anche della capacita’ di lavorare e di renderci utili agli altri. E allora che senso avra’ avuto tutta la nostra conflittualita’ e la nostra continua competizione! Ricorderemo e saremo ricordati solo per l’amore che abbiamo dato e ricevuto.

Mentre continuo a pregare perche’ il Signore sia il medico delle persone che amo, e perche’ le guarisca, gli chiedo anche di ricordarmi ogni giorno di piu’ quali sono i valori veri della vita per cui val la pena spendersi fino alla fine.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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