La giornata di ieri e’ iniziata in modo problematico. Ero ancora a messa quando sono stato chiamato urgentemente per una placenta ritenuta. Pensavo che i volontari fossero a letto, e quindi mi sono aggiustato con lo staff locale, per non disturbarli. E’ stato un lavoro lungo, ma alla fine ce la abbiamo fatta a salvare quella donna in preda ad una emoragia terribile.
Subito dopo questa prima procedura d’urgenza era la volta di una amputazione di braccio destro. Era una situazione veramente difficile: un giovane preso a colpi di machete: ha perso la mano destra da qualche parte nella notte. E’ venuto in ospedale con l’arto completamente amputato e le ossa esposte... della mano nessuna traccia.
Non si poteva lasciarlo cosi’, a causa dei rischi di infezione, e quindi abbiamo deciso per una amputazione classica, in cui abbiamo rimosso l’osso sporgente ed abbiamo suturato adeguatamente la parte.
Ma i problemi hanno continuato ad accavallarsi. Nel bel mezzo dell’operazione e’ mancata la luce, ed il generatore e’ andato rapidamente in sovraccarico, portando a continue fluttuazioni nella erogazione di corrente e a frequenti totali interruzioni.
L’aria condizionata in sala e’ andata automaticamente in stand by, perche’ il generatore non riusciva a portarne le richieste di potenza, e questo ci ha portato ad una situazione di caldo torrido ed umido, che ha reso l’ambiente quasi invivibile. Inoltre gli alti e bassi di corrente hanno mandato fuori uso l’elettrobisturi, e neppure Fr Lorenzo e’ riuscito ad aggiustarlo. Per cui l’intervento lo abbiamo terminato pure senza questo ausilio.
Eravamo quasi alla fine, stanchi ma contenti, quando ci e’ stato comunicato che avremmo avuto un cesareo urgente... il battito cardiaco fetale non era dei migliori. La notizia ha originato in noi una spontanea iniezione di insulina endogena, e ci siamo dati da fare per terminare velocemente, e preparare la stanza in tempo record.
Ma appena fuori, quando ancora grondavo di sudore come un pulcino bagnato, mi e’ stato chiesto di fare una ecografia urgente perche’ forse c’era una gravidanza extrauterina. In effetti il test sonografico ha confermato la diagnosi: gravidanza tubarica in prerottura.
“Che fare ora? Chi entra in sala per primo?”
“Cerchiamo di salvare il bambino con il cesareo. Facciamo piu’ in fretta possibile e poi facciamo l’operazione per l’ ectopica”, mi suggerisce il saggio Jesse.
Makena e Celina sono velocissime a pulire la sala. Il cesareo procede veloce e senza complicazioni, e lo terminiamo in 40 minuti, pur in condizioni estreme, dovute alla mancanza del condizionatore.
E’ circa l’una del pomeriggio quando rientriamo nella stanza chirurgica con la malata ormai in shock. Avendo la possibilita’ di avere due anestesisti, Ogembo pero’ chiesto che uno di loro lo aiutasse per un raschiamento, in contemporanea con la nostra operazione.
Il nostro lavoro procedeva bene, e siamo riusciti a fermare l’emorragia in tempi brevi. La donna era quindi fuori pericolo, anche se ancora rimaneva molto lavoro per richiudere il suo addome.
Ma attorno a noi improvvisamente e’ nato un clima di confusione e di caos. Gli anestesisti entravano ed uscivano chiedendo materiale e farmaci per la rianimazione.
“In un’altra stanza abbiamo un arresto cardiaco e respiratorio”.
“Vai pure a vedere, mentre io termino con Makena”, mi ha sussurrato il dott Di Stefano.
Mi sono quindi precipito nell’altra stanza dove tutti erano gia’ convulsamente al lavoro. Jesse mi ha chiesto di praticare il massaggio cardiaco, mentre lui intubava per poi ventilare.
Paolo ha defibrillato per due volte... ed alla fine il cuore e’ ripartito, dapprima debolmente ed irregolarmente, ma poi sempre piu’ vigorosamente.
Intanto la luce andava e veniva, perche’ il generatore grande ha avuto un guasto fermandosi improvvisamente, ed avevamo a disposizione solo il piccolo che ha evidenti problemi di portata.
Con questa illuminazione a scatti e’ stato estremamente difficile reperire delle buone vene, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
La respirazione, all’inizio del tutto assente, e’ ripresa gradualmente dandoci qualche speranza; ma il coma e’ rimasto estremamente profondo. Poi la situazione si e’ complicata ulteriormente con delle convulsioni sempre piu’ frequenti.
Come se non bastasse, mentre ci davamo il cambio per rianimare la paziente, sono stato chiamato per eseguire una ecografiaurgente per una donna che ha evidenti segni di peritonite.
La mia eco e’ stata spietata: si trattava di una perforazione intestinale, e bisognava agire subito. La strada era impraticabile, e quindi, volenti o nolenti, dovevamo intervenire qui a Chaaria.
Makena, che non ha fatto ne’ pausa ne’ pranzo, mi ha quindi detto disperata: “con il generatore piccolo non abbian potuto sterilizzare. Ora useremo le ultime cose sterili. Se capita un cesareo non saremo in grado di farlo, e dovremo organizzare un trasporto a Meru”.
Ho risposto quasi come un automa, mentre continuavo a ventilare la malata che si era arrestata: “usa gli strumenti che abbiamo. Poi speriamo che Fr lorenzo riesca a riparare il generatore grande. Ho telefonato all’Enel, e mi han detto che per almeno 48 ore non ci sara’ elettricita’ a causa di grossi problemi a due fasi dell’alta tensione... per cui dobbiamo fare fuoco con la legna che abbiamo”.
Il team siciliano e’ dunque entrato in sala con l’assistenza dell’affamata Makena, mentre io son rimasto fuori per continuare con l’ambulatorio e per dare il cambio a Ogembo e Jesse per la rianimazione. Con il passare delle ore e con l’accavallarsi delle complicazioni diventavamo tutti sempre piu’ disperati, anche se, mentendo a noi stessi, ci dicevamo l’un l’altro che il peggio sembrava passato.
La luce intanto funzionava on/off, ed i chirurghi sudavano letteralmente sette camicie in una stanzetta dove c’erano circa 60 gradi centigradi.
Anche noi sudavamo correndo di qua e di la’, e cercando di non perderci d’animo con la rianimazione.
Alle ore 20 l’operazione era conclusa, e la malata sembrava stabile; Lorenzo e’ riuscito a riparare il generatore grande, e quindi ora potevamo sterilizzare.
Ho mandato Jesse a mangiare, e gli chiesto di tornare verso le 22.30 “per passare la notte”.
Fr Lorenzo ha accompagnato a casa Makena e Celina, mentre Paolo ed il sottoscritto hanno proseguito una “depressa” rianimazione.
“Non ci sono segni di miglioramento a otto ore dal primo arresto cardiaco”, osserviamo sconsolati.
Quando Paolo era crollato ed era andato a dormire, io sono rimasto ancora con Jesse fin verso la mezzanotte. Ora la malata era praticamente in edema polmonare e la pressione era diventata imprendibile. La aspiravamo continuamente, ma l’ossigeno nel suo sangue era costantemente vicino allo zero, nonostante la bombola aperta a go go.
A mezzanotte e dieci un nuovo arresto cardiaco!
Siccome la paziente era monitorizzata, le siamo saltati addosso con due vani tentativi di defibrillazione. Poi ci siamo lanciati ancora nel massaggio cardiaco per venti minuti, ma tutto e’ stato inutile.
La traccia ECG e’ ora persistentemente piatta, Jesse. Non ce la abbiamo fatta. Ho tanta paura di quello che mi diranno i parenti domani.
Fr Beppe Gaido
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