giovedì 6 maggio 2010

Lettera di Paolo, un volontario medico

Sono stato più volte in missione umanitaria… Afghanistan, Iraq, Serbia, Madagascar e ora Kenya….
Dovrei essere e sentirmi come un “veterano”, uno di quei sergenti che in guerra danno consigli e trasmettono serenità e sicurezza alle giovani reclute….ma non è così…sono tornato da Chaaria da 20 giorni e non mi sento più così sicuro…e il pensiero e il rimorso di un errore dovuto a stanchezza o, peggio ancora, a leggerezza, non mi abbandona …..
….Sono anestesista, vecchio e navigato del mestiere, da 20 anni mi occupo solo di urgenze ed emergenze, 15 anni di Elisoccorso, tutte le patologie più disparate già viste….eppure lì a Chaaria, per colpa mia è morta una donna ….non un intervento di estrema urgenza o una patologia senza speranza…no…niente di tutto questo…solo un banale intervento che ho avuto la presunzione di affrontare con leggerezza …sicuro di poter far fronte a qualsiasi evenienza.
Ho peccato di presunzione….forse il peccato peggiore per un medico…
Chiedo perdono a Beppe per le conseguenze che ha dovuto subire, chiedo perdono a Dio e a Chaaria per il mio essere stato “piccolo e presuntuoso”…chiedo perdono anche se so che non lo merito.

Paolo

1 commento:

Anonimo ha detto...

Wow, félicitations pour votre article, je vous remercie pour les astuces, et je suis d'accord avec vous. J'insiste, votre billet est réellement bon, je pensais à tout ça en plus l'autre jour. PS : D'ordinaire je ne réagis jamais sur les blogs,et ce même si leur contenu est excellent, mais là le vôtre méritait réellement mes félicitations!


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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