mercoledì 18 agosto 2010

Ecumenismo spicciolo

E’ sembrata una giornata tranquilla. Molti pazienti, ma tutto e’ andato per il meglio, senza complicazioni anche se con quattro cesarei. I parti sono andati tutti bene.
La giornata e’ stata piena di pazienti ambulatoriali. Moltissimi provenivano da Isiolo e da altre regioni molto a Nord. Qualcuno addirittura proveniva da Moyale, che è la città di confine tra Kenya ed Etiopia.
Chissà perché la gente viene proprio a Chaaria. Tra Chaaria e l’Etiopia ci cono centinaia di chilometri, ed un certo numero di ospedali.
Onestamente non lo so. Non posso dire che essi vengano da noi perché  siamo più bravi. Forse si è creata una fama che non meritiamo.
Comunque sia, credo che questo costituisca per noi un’altra possibilità grande di apostolato. Sin dall’inizio ci siamo posti come una missione al servizio di tutti, e non abbiamo mai fatto distinzioni tra Cattolici e Protestanti di qualunque denominazione. Ora abbiamo la possibilità reale di un rapporto fraterno e costruttivo con l’Islam, visto che le popolazioni del Nord sono per il 90% musulmane. Da pochi giorni e’ iniziato il Ramadan, e cerchiamo di rispettarli anche con la prescrizione di farmaci che possano essere assunti mattino e sera, rispettando il digiuno diurno.
E’ molto arricchente essere in un contesto di grande diversità religiosa.
Sin dall’inizio mi ero accorto di questo, pur non negando le evidenti difficoltà.
A Chaaria per esempio abbiamo ben 7 denominazioni cristiane diverse. Da un certo punto di vista questo costituisce un problema notevole, in quanto la gente è spesso confusa e non capisce bene quali siano le reali differenze tra Chiese apparentemente sorelle, perché impegnate a predicare lo stesso Cristo, ma così distanti su altri punti.
E’ indubbiamente problematico che, con l’avvento degli altoparlanti, le diverse denominazioni cerchino di urlare più forte delle altre, al fine di disturbare la preghiera altrui, o forse con l’inconscia convinzione che Dio ascolti di più coloro che hanno le casse ed i microfoni più potenti.
Ancora più problematico è il fatto che non esiste alcun movimento di tipo ecumenico, almeno qui nelle campagne. Non è raro per esempio che nella parrocchia cattolica da noi frequentata si parli direttamente contro le posizioni dei protestanti. Allo stesso tempo è frequente che la predicazione dei “Riformati” affermi testualmente che “chi frequenta la Chiesa Cattolica sarà condannato alla perdizione”.
Le differenze sono soprattutto legate a posizioni di ordine pratico. La parte più scottante riguarda il celibato dei preti, che i Protestanti non comprendono e non apprezzano, e la morale sessuale in genere.
I Protestanti in genere accettano l’uso di mezzi di controllo delle nascite di tipo farmacologico, mentre i Cattolici rifiutano queste medicine come immorali e pro-abortive.
La pandemia AIDS ha portato profonde divisioni anche tra le Chiese, soprattutto riguardo all’uso del “condom” come mezzo per contenere la diffusione dell’infezione.
Il problema è che sempre si parte dal concetto di essere gli unici portatori della verità, e non si vuole accettare la positività del dialogo con chi la pensa diversamente.
Altro problema è che si tende sempre a parlare di ciò che manca all’unità, invece di considerare quante cose invece sono già perfettamente univoche. E’ il vecchio problema della bottiglia, che può essere mezza piena o mezza vuota, secondo il punto di vista di chi la guarda.
Da sempre noi ci siamo posti in un’ottica diversa. Prima di tutto non abbiamo fatto alcuna distinzione tra Cattolici e Protestanti nelle nostre scelte di assunzione del personale. Poi non abbiamo mai ammesso discriminazioni tra pazienti di diverse denominazioni. Abbiamo sempre invitato sia Parroci che Pastori a visitare i loro pazienti in ospedale, lasciando loro piena libertà di espressione anche nel modo in cui pregano per i loro malati.
Ci siamo poi resi pienamente disponibili alla collaborazione con varie Chiese Protestanti, in campi come la prevenzione dell’AIDS o la promozione dell’igiene pubblica. Abbiamo deciso che, al di là di alcune differenze di ordine teorico sui temi sopra citati, molte erano le aree in cui avremmo potuto lavorare per il bene della povera gente.
Da tempo stanno arrivando anche i Musulmani, che costituiscono un nuovo fronte di impegno, ed una ulteriore possibilità ecumenica.
Credo che con loro il cammino sia ancora più difficile, perché sono di etnia diversa (quasi tutti di origine somala), e con una “forma mentis” estremamente più complessa rispetto agli abitanti del Meru.
Per ora con loro cerchiamo di usare il massimo della gentilezza e del rispetto, anche durante la visita medica: chiediamo sempre al marito delle donne se vuole essere presente alla visita. Chiediamo il permesso alle donne prima di domandar loro di togliersi il BURKA. Stiamo anche imparando a cambiare il nostro  linguaggio, ed invece di dire che il paziente guarirà “se Dio vuole”, diciamo loro che si riprenderà “insh’Allah”.
Spesso ci sono anche dei bei momenti di comunione, come quando essi rispondono che il nostro ed il loro Dio sono la stessa persona, o come quando dicono che la cosa più bella che vedono nel Cristianesimo è la carità verso il prossimo.
Qualche Musulmano mi dice che i Cristiani e gli Islamici stanno scalando la stessa montagna passando da due versanti diversi... ma che alla fine si reincontreranno e adoreranno insieme l’unico Dio.
Non mi pare che gli Islamici dell’Africa Orientale siano molto integralisti. Non ho visto in loro alcun astio verso i Cristiani. Mi pare che non siano interessati ad alcun tipo di “Jihad”.
Con loro si può sicuramente buttare qualche ponte e dimostrare che siamo chiamati all’unità in nome di Dio. Certo noi dobbiamo anche imparare molto da loro, sia nel campo della fedeltà al Corano, sia nel campo della preghiera quotidiana come nel campo della fedeltà alle rinunce corporali. Loro forse possono imparare da noi la solidarietà universale che non è contenuta dalle barriere della razza o della religione.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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