
Dopo un mese di servizio impegnatissimo e costante, abbiamo salutato anche questo gruppo di volontari.
Di Michele abbiamo gia’ accennato nel post circa la maratona chirurgica.
Ora vogliamo ringraziare gli infermieri professionali Giusy (all’estrema destra della foto), Laura (all’estrema sinistra della foto) e Massimo (alla mia sinistra guardando la foto).
Questi infermieri hanno lavorato duro ed hanno dato il meglio di se’, pur con tutti i limiti imposti dalla nostra struttura: certo, per chi viene da reparti superspecializzati in Italia, lavorare qui da noi puo’ sembrare deprimente; puo’ apparire quasi simile al lavoro di un OSS.
Ma sono proprio queste le cose piu’ essenziali, quelle a cui spesso non riusciamo a star dietro a causa della cronica mancanza di personale.
Curare l’igiene personale dei pazienti non autosufficienti, farsi carico delle medicazioni quotidiane di decubiti e ustioni, aiutare nel momento dei pasti coloro che non possono mangiare da soli non sono certo attivita’ che non facciano parte del nursing nella accezione “migliore del termine”.
Qui forse gli infermieri ritornano a doversi occupare di tutte quelle mansioni a cui fa riferimento la Nightingale: si occupano dei bisogni elementari dei malati, dall’igiene personale, all’alimentazione, alle medicazioni... e poi via via piu’ su, passando attraverso la terapia orale e parenterale, sin spesso ad offrirsi come aiutanti per interventi chirurgici o pratiche rianimatorie.
Certamente non mancano le contrarieta’: qui da noi gli standard di lavoro sono molto diversi da quelli in Europa, ed a volte possiamo apparire superficiali ed approssimativi. Inoltre il numero eccessivo di pazienti ci fa correre il rischio di compiere anche sbagli e dimenticanze sia nella terapia, che nella gestione delle ulcere e ferite.
C’e’ poi da tenere conto che il curriculum degli studi per un infermiere kenyano e’ molto diverso da quello attualmente in vigore in Italia: e’ naturale che ci siano delle vedute differenti nell’impostazione del lavoro.
Il duro per gli infermieri italiani e’ anche questo: provare a svestirsi per un mese di tutto quello che essi hanno fatto fino a pochi giorni prima; cercare di entrare in dialogo, di ascoltare, di prendere nota del punto di vista dei “locali”... e, solo dopo aver instaurato un buon rapporto di fiducia e collaborazione, proporre loro dei cambiamenti e dei miglioramenti, certo necessari, ma che vanno mentalizzati, se vogliamo che diventino duraturi nel tempo.
Qui ovviamente si apre il discorso ostico della conoscenza dell’inglese.
Troppo semplicisticamente in passato si e’ detto che basta il linguaggio dell’amore: non e’ vero! Bisogna parlarsi per poter collaborare. Un fatto recente di alcuni giorni fa puo’ esemplificare nuovamente il problema: un infermiere kenyano ha affermato che, quando si dimette dopo le 14, bisogna avvisare il paziente per sapere se e’ ancora in grado di chiamare i parenti o raggiungere casa, pur essendo tardi. Un italiano ha capito male, e mi ha riferito che c’era una nuova regola in ospedale per cui nessuno poteva dimettere un degente dopo le ore 14. Io, supponendo che questa indicazione fosse partita da qualcuno del nostro staff che voleva stare tranquillo e lavorare di meno durante il pomeriggio, sono andato giu’ un po’ duro, dicendo che le nuove regole le poteva dare solo il consiglio di amministrazione... solo dopo mi sono accorto che la mia lavata di capo era stata assolutamente fuori luogo perche’ il nostro infermiere aveva dato un messaggio del tutto legittimo, ma purtroppo compreso male e riportato anche peggio.
C’e’ un altro sforzo che vorrei proporre ai futuri gruppi di infermieri che verranno a lavorare a Chaaria: anche se siete amici gia’ da prima, cercate di non lavorare tra di voi, isolandovi dallo staff locale. Se per un mese fate una medicazione in modo eccellente, ma usando una tecnica che conoscete solo voi italiani, dopo la vostra partenza quella piaga non potra’ piu’ essrere seguita secondo i vostri standard. Ma se invece avete lavorato sempre in coppia con uno staff locale, e’ molto probabile che in un mese quel nostro infermiere abbia acquisito ed apprezzato conoscenze che prima non aveva.
Per cui cari infermieri, buttatevi e apritevi ai vostri colleghi africani. Lavorate con loro, fateveli amici... e vedrete che, da una parte questo diventera’ molto bello per voi, perche’ conoscerete di piu’ la loro cultura, e dall’altra i semi da voi sparsi, germoglieranno anche dopo la vostra partenza, per il bene dei malati.
Giusy, Laura e Massimo questo hanno cercato di farlo.
Li ringrazio anche per il materiale didattico che hanno preparato per noi sulle medicazioni avanzate per decubiti. Lo stiamo usando durante le “classi” del giovedi’ mattina.
Dio vi benedica per tutto quello che avete fatto per chi soffre!
A questo nostro ringraziamento si uniscono anche Ken Mwenda a cui certamente manca la sua “mammina” Giusy, e Josephine che si era cosi’ tanto affezionata a Massimo e Laura.
Fr Beppe Gaido
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