venerdì 22 ottobre 2010

Il baobab: una costante nel nostro immaginario africano

Le foto che vi allego sono di babobab vecchi forse di 1500 anni.
Sono alberi maestosi e impressionanti. La nostra gente pensa che possano vivere fino a 5000 anni.
Sono normalmente spogli, a parte un breve periodo prima delle piogge in cui i brulli rami mostrano degli stupendi fiori bianchi.
La leggenda vuole che questo "Re" degli alberi si sia un giorno ribellato agli dei, e sia stato per questo punito e piantato con la chioma sotto terra e con le radici al vento.
Mi sono sempre chiesto come mai non ci siano baobab a Chaaria. Mi domandavo se si trattasse di una questione climatica.
Ho trovato la risposta parlando con un anziano del villaggio:
"A Chaaria c'erano moltissimi baobab. La ragione per cui non ci sono piu' risiede nella poverta' della gente... o, se vuoi, nella deforestazione selvaggia. La realta' e' che, tagliando un baobab, hai legname sufficiente per costruirti una casa. Io stesso avevo 5 baobab dietro casa mia, ma li ho tagliati tutti per le costruzioni".
E' triste, anche se e' comprensibile. Millenni di storia naturale vengono abbattuti per costruire delle case in legno... e ci vorranno millenni perche' possano apparire nuovamente sulla faccia della terra.
Ma questo e' sempre il delicato rapporto tra gli esseri umani ed il creato. Guardando i baobab che vi ho fotografato, mi sono chiesto quante generazioni e quante sofferenze umane abbiano visto nella loro vita millenaria... ma bastera' la sega di un poveraccio che ha bisogno di una casa per porre fine a questi incredibili testimoni della nostra storia naturale.

Fr Beppe





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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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