giovedì 21 ottobre 2010

Lettera da Lourdes


Carissimo Beppe
sono rientrata da Lourdes da qualche giorno, ti assicuro che questa volta è stata una esperienza forte, in quanto sono stata destinata sul treno al vagone ambulanza durante la notte, sia all'andata che al ritorno.... tu sai meglio di me che gli ammalati di giorno stanno male, ma di notte, specialmente quando un treno è in corsa, stanno peggio.
Ancora una volta corro sul sentiero dei miei pensieri e mi ritrovo a Chaaria, mi ritrovo a ringraziarti sempre per quello che ho ricevuto da te e da tutto il contesto della comunità, per quello che ho imparato... certo che, penso quanto siano strani a volte i disegni e le soffiate dello Spirito Santo e della Provvidenza.
Ti ho raccomandato particolarmente alla Vergine Maria e specialmente durante una Santa Messa alla grotta, alle ore 23, alla quale sono riuscita a partecipare, fermandomi poi ancora dopo la funzione a pregare in quel luogo sacro. Sono anche stata fortunata perchè sono riuscita ad immergermi nella piscina in quanto accompagnavo una giovane donna malata di SLA.......Il mio cuore piange sempre davanti a queste sofferenze e me le porto tutte dentro, sono sicura che anche a te succede la stsessa cosa, anche se non dobbiamo piangerci addosso,e quindi non possiamo rimanere indifferenti davanti ai nostri fratelli sofferenti.
Ho letto sul blog quanto hai scritto sulla donna Africana, è tutto vero ed ho anche potuto constatarlo durante il mio soggiorno a Chaaria, mi sono commossa molto, come mi ha toccato fortemente il cuore la storia della giovane Lucy, che strazio!... Il Signore avrà un disegno speciale anche per il piccolo nato come lo ha su ognuno di noi.
Ti abbraccio forte con affetto e... ti voglio bene.

Rosella

 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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