martedì 2 novembre 2010

Dal diario di bordo

Oggi gli interventi sono stati davvero tanti e la seduta si e’ chiusa verso le ore 21.
Ringrazio veramente tutti per l’impegno e la dedizione.
Oggi il mio pensiero va soprattutto al Dr Antonello Meloni e ad Efisio che hanno portato a termine molti interventi cosiddetti minori (per esempio una tenorrafia che e’ durata quasi tre ore!). Senza Antonello non ce l’avremmo mai potuta fare!
Lo ringrazio anche per il preziosissimo lavoro in gastroscopia, dove oggi abbiamo registrato un terribile record negativo.
Tutti i pazienti esaminati avevano un cancro dell’esofago. Si tratta di una terribile “epidemia”, di cui da tempo ho la percezione, ma di cui non riesco a definire scientificamente le dimensioni.
Certo e’ che il tumore dell’esofago e della giunzione esofagogastrica e’ estremamente devastante per la nostra gente.
Si tratta di pazienti per lo piu’ giovani, che poi alla fine moriranno di fame perche’ non riusciranno piu’ ad alimentarsi in nessun modo.
Terapia?
Veramente nulla.
Pochissimi avrebbero i soldi per una chirurgia a Nairobi.
E d’altra parte la magnitudine dell’intervento; la percentuale di morti in sala operatoria; la pessima qualita’ di vita dopo l’operazione, e l’aspettativa di vita non certo prolungata, ci consigliano addirittura di non parlare loro di possibilita’ chirurgiche.
Molti mi diranno: “Potresti riferirli a Nairobi per uno stent!”
A parte che non so se questa procedura venga eseguita in Kenya, devo comunque aggiungere che i nostri malati afferiscono a noi quando e’ ormai tardissimo, e lo stent non sarebbe piu’ proponibile perche’ la stenosi e’ ormai insormontabile.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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