sabato 11 dicembre 2010

Incontrare la morte a Chaaria

I chirurghi siciliani ci hanno lasciato, dopo un tour de force che ha messo a dura prova la nostra resistenza fisica: tutti i giorni abbiamo finito tardissimo, spesso verso mezzanotte… e poi c’erano le inevitabili chiamate notturne, verso le 2 o le 3 del mattino. Sono queste ultime a tagliarti le gambe completamente, perchè l’indomani non hai tempo per un minimo di recupero. Oggi per esempio, in ospedale non ho neppure i clinical officers: uno e’ infatti in ferie; uno e’ di riposo e l’altro ha lasciato il lavoro senza preavviso.
Quello che ti lascia sempre pietrificato è il fatto di veder morire tanti bambini. Anche oggi ne ho persi due, ed un terzo forse se ne andrà probabilmente in giornata.
Un altro bimbo sta lottando a causa di un tetano neonatale: non so se ce la fara’, anche perche’ ci manca la terapia intensiva.
La reazione delle mamme a queste morti innaturali e’ del tutto umana e prevedibile. Anche a questo proposito ci sono molti stereotipi sull’Africa; si dice che qui la gente ha un rapporto distaccato e totalmente fatalistico con la morte; si afferma superficialmente che per un Africano la morte e’ un evento naturale che fa parte della vita.
Ma gli Africani sono esseri umani come noi, ed anche a queste latitudini ci sono caratteri diversi e situazioni differenti: ci sono sì mamme che accettano la dipartita del loro piccolo in modo assolutamente stoico, e rispondono semplicemente che “e’ volonta’ di Dio se il bimbo se n’è andato”; altre invece si disperano ed urlano, si rotolano sul pavimento ed imprecano; altre ancora si chiudono in un mutismo colmo di depressione.
Diverso e’ anche il rapporto che loro hanno con la salma, e queste differenze spesso seguono linee tribali.
Ad esempio per un Meru il corpo del defunto non ha piu’ alcun valore, perche’ l’anima ormai se n’e’ andata: spesso i parenti, incluse le mamme, rifiutano di visionare il morto. Non lo vogliono guardare e non lo vogliono toccare.
Per un uomo di etnia Meru, il contatto con un cadavere puo’ causare sterilita’ in futuro; mentre una donna della stessa tribu’, dopo aver perso un figlio, dovra’ sottostare a riti purificatori nel villaggio, riti che la escluderanno dalla vita sociale per un certo periodo. Questa e’ la ragione principale per cui abbiamo tanti problemi con i cadaveri che vengono abbandonati nel nostro obitorio: soprattutto i bambini vengono normalmente lasciati in sala mortuaria, e li dobbiamo seppellire senza la presenza di un parente… per loro infatti il figlio e’ già volato in cielo e quel corpo non ha dignita’ maggiore degli escrementi umani... che un Meru mai guarderebbe.
Per gli adulti abbiamo qualche problema in meno, perche’ queste credenze  riguardo al cadavere vengono un po’ mitigate dal “culto per gli antenati”: e’ importante per loro avere il “predecessore” sepolto alla porta della propria casa, per essere protetti dal suo spirito e dal suo ricordo.
Abbandonare un antenato in ospedale anche dopo la morte potrebbe attirare la sua “maledizione”, da cui sara’ poi molto difficile liberarsi.
Devo dire che per gli adulti la gente fa sforzi notevoli per portarseli via,  e quando li dobbiamo seppellire, e’ sempre perche’ davvero non hanno alternative. Indirettamente gia’ vi ho detto che nella cultura Meru non si vede la necessità di cimiteri, perche’ gli avi devono riposare nella terra dei loro figli.
Caso completamente diverso e’ quello che riguarda le tribu’ del Nord: essi sono nomadi. Non hanno terra in cui far riposare il cadavere, ma hanno un forte culto dei morti: quando uno di loro muore a Chaaria, essi ci chiedono di seppellirlo nel nostro cimitero, ma non lo abbandonano… nei giorni precedenti la data della tumulazione, essi vengono in gruppo e praticano abluzioni rituali e preghiere sulla salma, che poi ci viene restituita coperta di olio profumato e di orecchini rituali. Normalmente essi non si fermano con noi per il funerale che, come forse sapete, avviene di notte, per evitare di creare paure e superstizioni tra i pazienti dell’ospedale.
Abbiamo a volte qualche problemino con i musulmani, perche’ essi vengono da molto lontano, e, secondo la loro religione, il cadavere deve essere tumulato lo stesso giorno della morte, prima del tramonto. Dobbiamo quindi contattarli, e fare di tutto per venire incontro a questa necessita’ legata al loro culto.
Se muore da noi un paziente di tribù Luo, già sappiamo che lo dovremo tenere in obitorio per moltissimi giorni, perche’ nella tradizione di quella etnia, la tumulazione e’ sacra. Anche i poverissimi spenderanno capitali per le esequie, che devono essere sontuose, e a cui devono partecipare tutti i membri della famiglia… anche quelli che eventualmente fossero emigrati all’estero.
Il corpo viene quindi trasportato nel Kenya occidentale (terra ancestrale dei Luo, a più di 1000 km da Chaaria), con spese davvero considerevoli. Arrivato nella terra degli avi, il coniuge del defunto vegliera’ tutta la notte con il cadavere, come segno di addio… poi inizieranno le celebrazioni che per circa una settimana vedranno banchetti in onore del compianto, prima del definitivo commiato.
Ma noi siamo nel Meru, e la maggior parte dei nostri pazienti appartengono a questa tribu’: e’ quindi evidente che a Chaaria abbiamo un grosso problema con  le sepolture, soprattutto per i bambini. Anche ieri sera ne abbiamo sepolti 12, tutti di età inferiore ad un anno. Il funerale ordinariamente comincia alle 21.30, dopo l’ultima preghiera in cappella: scendiamo in obitorio con l’auto (normalmente e’ Fr Giancarlo che negli ultimi tempi si e’ assunto questo doloroso compito), e li’ carichiamo i corpicini che sono avvolti semplicemente in stuoie di nylon nero. Normalmente li seppelliamo una settimana dopo il decesso, per dare la possibilita’ alle mamme di andare a casa e di dare la notizia… sempre sperando che qualche piccolino venga portato via per la sepoltura in famiglia.
Con l’auto piena di questo mesto fardello ci avviamo al nostro cimitero, dove abbiamo scavato delle fosse comuni molto capienti: non sarebbe infatti possibile per noi dare una tomba singola per ognuno: troppo lavoro e troppo spazio sarebbero richiesti, trasformando in breve il nostro campo coltivato in un enorme camposanto. Sfruttiamo quindi il terreno in verticale: le nostre tombe sono profonde quanto un campanile.
Arrivati vicino alla fossa con la macchina, abitualmente disponiamo i corpicini sulla nuda terra, tutti in fila. In questa operazione siamo aiutati solamente dalla luce delle nostre torce, in quanto non c’e’ alcuna illuminazione vicino al cimitero. E’ quasi sempre una scena surreale: spesso il cielo e’ colmo di stelle e sembra un magnifico arazzo. Nell’aria si sente il grugnito dei maiali della casa dei nostri vicini; qualche cane abbaia in lontananza, mentre le nostre scimmie notturne lanciano grida incuriosite dalla cima degli alberi. Non celebriamo alcun rito particolare: e’ troppo gravoso per noi organizzare una funzione funebre praticamente quasi tutti i giorni. Diciamo una breve preghiera e poi, ad uno ad uno, lanciamo nella fossa le salme, che raggiungono il suolo con un tonfo ottuso, dopo alcuni secondi di caduta libera nel buio assoluto della fossa comune. Ogni volta che sentiamo questo rumore sulla terra, avvertiamo anche un colpo nel nostro cuore, e meditiamo su quanto e’ spesso ingiusta la vita: a qualcuno viene negata addirittura una degna sepoltura cristiana...
Copriamo quindi i morti che abbiamo appena “buttato” con uno strato di terra non superiore ai 10-15 cm: lavoriamo al buio ed in silenzio, con l’ausilio dei nostri badili e della pila che ci serve a controllare quando tutte le salme sono state coperte sufficientemente. Non possiamo mettere troppo terreno… se no, la fossa comune si riempirebbe troppo in fretta. Il tutto poi si conclude con la chiusura del tumulo tramite lamiere ondulate, su cui mettiamo grossi pietroni, per evitare che cani randagi o iene vadano di notte a profanare i nostri morti.
L’operazione non dura più di mezz’ora. A molti volontari e’ sembrata disumana… ma onestamente e’ quanto riusciamo a fare con le nostre forze sempre molto limitate. E’ vero che possiamo anche correre il rischio di diventare cinici ed insensibili di fronte al dramma della morte; rimane comunque il fatto che dopo questa sepoltura, non si puo’ andare a letto, perche’ in ospedale ci sono i vivi che ci aspettano, e i loro bisogni sono spesso cosi’ gravi ed urgenti, da non lasciarci molto tempo per piangere sui defunti.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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