lunedì 17 gennaio 2011

La morte dei bambini

Poco fa sono stato chiamato urgentemente a rianimare un bambino di 4 anni, appena arrivato in ospedale da molto lontano: era gonfio come un pallone su tutto il corpo, ma profondamente emaciato sul volto. Durante gli interminabili minuti in cui ho tentato la rianimazione del piccolo, la mamma era stata mandata in doccia per lavarsi ed indossare l’uniforme dell’ospedale.
Purtroppo però le mie mani sono state inutili ancora una volta... Il bambino, probabilmente cardiopatico grave o affetto da insufficienza renale, è spirato davanti a me dopo pochi istanti. Io sono rimasto annichilito e senza parole, come mi capita di solito. Non ho emesso grida o pianti isterici. Sono rimasto di pietra.
Quando la mamma è uscita dai servizi, ancora umida dopo il bagno salutare, mi si è avvicinata, ha guardato il bimbo, poi si è appoggiata con il suo braccio contro il mio, e mi ha chiesto: “se n’é già andato via?”. Io ho posto la mia mano sulla sua spalla e le ho sussurrato: “Sì, se n’è andato così in fretta e non tornerà più”.
Allora la disperazione della mamma è stata grande, ma muta. Ha toccato il corpicino ovunque; ha posto la sua bocca vicino a quella del figlio per sentire se ancora respirava. Le lacrime scendevano copiose, ma lei non diceva neppure una parola. Dopo attimi che mi sono parsi un’eternità mi ha fatto solo una domanda: “E’ andato in Paradiso?”. Io mi sono sentito un nodo alla gola che mi ha impedito di parlare per un po’. L’ho solo tenuta per un braccio ed ho alla fine balbettato: “certamente!”.
Quanta sofferenza innocente, quanti bambini che si potrebbero salvare se solo fossero nati in Italia. Quante giovani mamme non ce la fanno e soccombono alla malattia.

Fr Beppe Gaido





1 commento:

Anonimo ha detto...

Ogni morte che avviene in questo modo di una piccola creatura lascia una cicatrice, un senso di vuoto e tante domande senza risposta...ma quanti bimbi ce l'hanno fatta e quante giovani mamme son tornate a sorridere grazie alle tue mani e al vostro costante impegno.... Un abbraccio


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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