venerdì 7 gennaio 2011

... pensando al periodo natalizio...

7 gennaio.. con oggi termina ufficialmente il lungo periodo Natalizio..
Ho la fortuna  di essere in vacanza e quindi posso fermarmi  un attimo silenziosamente  a  guardare indietro, cercando di osservare questi giorni di festa appena trascorsi e, per la prima volta, guardarli con occhi diversi, alla luce e con la luce dell’esperienza vissuta a Chaaria…
…a migliaia di chilometri di distanza dalla terra africana tuffata nel “ricco” occidente mi trovo inevitabilmente  e, con un po’ di colpa, passivamente protagonista  della frenesia delle feste, dei regali, delle cene…  La sensazione è che il tempo in questo particolare periodo dell’anno corra più velocemente, inseguito dall’umana  impossibilità a fermarlo e dalla nostra incapacità di viverlo pienamente…forse perché nell’inseguirne un lato esteriore a tratti perdo (o perdiamo?) il vero significato del Natale.
E con questi pensieri la mente non può non fuggire in quei di Chaaria, al desiderio di essere lì ad assaporare  un “altro tempo”… Un tempo che scorre lentamente,  “carico di vita” in tutte le sue manifestazioni, un tempo che merita di essere vissuto in ogni attimo, ancor di più a Natale.
…il pensiero corre a quel che leggo nel blog, alla gioia che si respira nelle parole di descrizione della festa con i Buoni Figli e con tutta la comunità…
…corre ad assaporare una gioia pura che è quella sprigionata dalla consapevolezza del  festeggiare il Dono più grande che si sia mai ricevuto… 
Ed è qui che i “due mondi” si intrecciano, perché in questo Dono non c’è differenza tra Chaaria e Torino…
Ed è con questa convinzione che credo che la sfida più grande per chi è stato a Chaaria,  oltre all’impegno concreto e costante per la comunità, sia quella di portare nella propria realtà quotidiana quella gioia intensa per  le piccole cose e  quella voglia di vivere ogni attimo con l’intensità , l’entusiasmo e  la consapevolezza del grande dono della vita vissuti  in terra africana.

Monica Carello

 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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