sabato 26 febbraio 2011

“Amore di fratelli, amore di coltelli”…

... E’ un proverbio molto comune in Italia, proverbio che e’ tornato sulle nostre labbra ieri quando abbiamo ricevuto una persona sfigurata da un enorme taglio da machete (o panga), che gli ha portato via tre quarti dell’orecchio di destra, oltre che un’ampia area di cute del collo.
Lo abbiamo ricucito... ma non essendo cosi’ bravi come Gesu’ nell’orto degli ulivi, non siamo riusciti a riattaccargli il padiglione auricolare. Lo abbiamo invece amputato completamente ed abbiam cercato di fare una plastica alla meno peggio.
“Chi e’ stato a farti questo?”
“ Mio fratello, per un problema legato alla terra”.
Mi sono quindi rivolto ad un confratello, e gli ho detto che il proverbio evidentemente non vale solo per l’Italia.
Lui mi ha risposto che certamente queste cose succedono solo per i fratelli “di sangue”, e mai per i Fratelli “in religione”.
Ho colto in lui un sogghigno di fondo che me la contava lunga sul suo pensiero di fondo mentre mi diceva la sua battutina ironica.
Al che ho semplicemente risposto pacatamente:
“Certo che succede solo tra i fratelli di sangue, perche’ i Fratelli di religione non si sporcherebbero mai le mani di rosso... loro, invece della spada o del machete, preferiscono usare la lingua...”
Siamo scoppiati a ridere, ed abbiamo entrambi pensato che la comunita’ perfetta esistera’ solo in Paradiso.
Poi il mio confratello, sorridendo, mi ha detto che anche le coppie sposate, pur avendo avuto un lungo fidanzamento e pur essendosi scelti, continuano spesso ad altercare.
Io continuavo a medicare la ferita, e, con un ghigno malizioso e triste nello stesso tempo, gli ho detto: “hai proprio ragione... e quindi concludiamo che... mal comune, mezzo gaudio... adesso pero’ e’ ora che facciamo un analgesico a questo poveraccio, perche’ tra poco gli finisce l’effetto dell’anestesia”.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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