martedì 22 marzo 2011

Purtroppo in Africa in ospedale qualche volta i bambini muoiono anche

XXX e’ orfana e proviene da un orfanotrofio non lontano a Chaaria. E’ affetta da una forma particolarmente aggressiva di varicella (almeno cosi’ pare clinicmente visto che da noi i test antivirali sono ancora un sogno) ha uno sfogo cutaneo tremendo su tutto il corpo, ma anche le congiuntive e la mucosa orale sono coinvolte. In un altro ospedale le e’ stato somministrata della penicillina.
Non sapendo se si tratta di una forma iper-virulenta di varicella o di allergia, io tratto con tutti i farmaci a mia disposizione: la “cortisono” adeguatamente e le do dell’anti-istaminico. Cambio la penicillina con un macrolide. La reidrato perche’ non si alimenta. Le somministro del multivitaminico e dell’antimicotico per il mughetto sopravvenuto nella mucosa orale. Le prescrivo del cortosone in collirio per prevenire una cheratite.
Ma stamattina ho trovato XXX morta.
Qualcuno ne ha fatto una questione di stato... ma io so di aver dato alla bambina tutti i farmaci a mia disposizione e di aver agito con scienza e coscienza. Piu’ di cosi’, cosa si poteva fare?
I bambinio in Africa muoiono e bisogna accettare il nostro limite.
Si puo’ pensare che a Chaaria ci siano buoni medici e si puo’ anche pretendere il miracolo, ma Chaaria ha solo i mezzi che sono concessi ad un ospedale rurale dell’Africa. Anche il apporto numerico medicop/aziente e’ sproporzionato. Pure in Italia i bambini muoiono e le diagnosi a volte sfuggono: eppure la’ il rapporto numerico medico/paziente e’ forse di 1 a 6. Qui il rapporo e’ di uno a 200.
E’ davvero corretto che qualcuno ci dica che non abbiamo fatto abbastanza?
Le giornate sono di 24 ore anche a Chaaria... e poi ci sono i limiti legati alla stanchezza.
Davanti a Dio io so che non avrei potuto fare di piu’.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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