venerdì 22 luglio 2011

La nostra inadeguatezza verso il malato psichiatrico

Sto scrivendo l’esito della venticinquesima ecografia della giornata e sto aspettando che Makena mi chiami per il prossimo cesareo: Jesse già sta facendo la spinale alla paziente. Improvvisamente la sala di attesa si anima di un vociare convulso. Rapidamente il rumore si sposta nel corridoio dell’out-patient, dove si sentono anche suoni di percosse e schiaffi, di sedie trascinate e di bicchieri frantumati al suolo.
Decido di chiedere scusa al malato che sto assistendo e di correre a vedere: si tratta di un uomo, sporco di terra dalla testa ai piedi, imbrattato di sangue a causa di una ferita che continua a perdere dalla fronte (evidentemente è stato colpito da un bastone). L’uomo si dimena e urla frasi sconclusionate. Vuole liberarsi dalle corde che gli legano mani e piedi, e quasi lo fanno cadere ogni volta che tenta un passo un po’ più lungo, mentre tutti lo spintonano. Vorrebbe picchiare tutti: i suoi accompagnatori ed anche lo staff dell’ospedale. Non potendo farlo, sputa in faccia a coloro che non rispettano una certa distanza di sicurezza... nel frattempo continua a ripetere affermazioni a carattere religioso in cui invoca Gesù di aiutarlo contro i nemici che lo circondano.
Mi avvicino e tento un approccio un po’ diverso. Chiedo a Joseph di slegargli le mani, e assumo un atteggiamento amichevole, dicendo al paziente di non temere, perchè noi siamo lì solo per aiutarlo. Lo assicuro che nessuno pensa che lui sia pazzo, e che tutti siano convinti che si tratti solo di un attacco di malaria. Però il mio modo di comportarmi evidentemente non piace all’interessato che mi afferra per il collo lasciandomi i segni delle unghie, e poi mi dà un ceffone tanto forte da far volare i miei occhiali a qualche metro di distanza. Meno male che non ero solo. I “watchmen” intervengono prontamente e lo immobilizzano al suolo... non c’è tempo di badare al protocollo! Intanto io ordino di portare una fiala di ipnovel e di fargliela in muscolo, perchè nessuno sarebbe riuscito a trovargli una vena in quel momento. Anche questa operazione risulta difficilissima, con il malato in preda ad una crisi furiosa che mette tutti a rischio e che impegna completamente le forze muscolari a nostra disposizione. Fortunatamente però ci riusciamo, tra uno sputo ed un calcio, e pian piano “la magica sostanza” entra in circolo, e la persona dapprima perde forza, poi comincia ad avere problemi dell’articolazione delle parole, e quindi cade in un sonno profondo. Ora possiamo tutti tirare un sospiro di sollievo. Possiamo slegarlo e metterlo su una barella per accompagnarlo alla doccia e quindi incannulargli una vena. Il problema è che l’ipnovel durerà solo 3 ore circa, e molto probabilmente il paziente sarà violento come prima quando si sveglierà; ma per ora devo pensare al cesareo... poi vedremo cosa fare.
Per noi il paziente psichiatrico è un grosso problema. Non abbiamo stanze di isolamento per loro, e nel camerone spesso gli altri malati hanno paura; inoltre di notte quasi sempre abbiamo uno staff infermieristico totalmente femminile, che è normalmente molto preoccupato quando ha uno “psichiatrico-violento” in regime di ricovero. I farmaci poi sono pochissimi: abbiamo 4 prodotti a disposizione, e tutti molto vecchi. Usando questi rimedi chimici, è sempre problematico trovare il “giusto mezzo”, cioè ottenere un comportamento socialmente accettabile, ma anche evitare una sedazione eccessiva che porti il malato ad una condizione di instupidimento o magari quasi di anestesia continua.
C’è poi il fatto che il nostro staff è molto limitato: di notte abbiamo solo 3 infermiere per un totale di 140 letti, oltre alla maternità e al pronto soccorso. Esse sono coadiuvate 3 “assistenti” che potremmo chiamare OSS, se fossimo in un contesto italiano; esse però hanno tutta la pulizia generale, la lavanderia che è attiva 24 ore su 24, e la sterilizzazione. Questo stato di cose, che non migliora molto durante il giorno, ci obbliga spesso ad usare misure “contenitive” che in Italia sarebbero inaccettabili: dobbiamo infatti molto spesso legare questi malati per evitare un eccesso di sedazione, e per proteggerli sia dall’autolesionismo, sia da altri comportamenti socialmente inaccettabili.
Ma quali sono le cause di malattia psichiatrica in questa parte del mondo? Uno potrebbe pensare che i disturbi psichici siano soprattutto legati al benessere, ed invece anche qui i problemi mentali sono una “epidemia silenziosa” che continuamente serpeggia tra la popolazione.
Certamente la malaria ha un ruolo importante anche in questo caso, visto che una manifestazione relativamente frequente della forma cosiddetta cerebrale è proprio l’insorgere di psicosi in persone per il passato del tutto normali. Queste forme secondarie a malaria spesso recuperano completamente ed assistiamo ad una totale “restitutio ad integrum”, ma altre volte lasciano sequele psichiatriche che durano anche tutta la vita.
Poi ci sono delle manifestazioni di disturbo mentale secondarie al parto: sui libri vengono classificate come psicosi post-partum: è una condizione subdola di cui magari non ci si accorge in ospedale e che si sviluppa pian piano quando la puerpera è già stata dimessa. Spesso viene riportata in ospedale dai parenti, dopo aver tentato di uccidere il bambino; altre volte invece assume strani comportamenti di cui frequentissimo è il bisogno di spogliarsi completamente in pubblico.
Ci sono anche malattie psichiatriche vere, forme di isteria, depressioni gravi, che a volte vengono rese più complesse da una continua mescolanza tra l’elemento medico e quello religioso o magico. Frequente è il caso di chi si crede posseduto dal demonio; più grave ancora è quando sono i vicini di casa a decidere che un povero malato di mente deve essere un invasato di Satana. In questo caso è per noi difficilissimo agire: ci sono interferenze sia da parte di sacerdoti o pastori che invocano l’esorcismo, sia da parte delle famiglie che vorrebbero l’intervento dello stregone per rompere la maledizione.
Ma al di là di tutto, rimane il fatto che la società stigmatizza questi malati, per cui frequentemente vengono abbandonati dalle loro famiglie, sospendono le terapie impostate e finiscono per condurre una vita randagia ai bordi delle strade, dove sovente li vedi mentre, sporchi e stracciati, cercano qualcosa tra le immondezze. Le donne poi hanno una sorte anche peggiore, e non è raro per noi assistere al parto di uno di questi “fantasmi umani” che ora diventa anche mamma, ma non sa neppure di essere al mondo.
La gente prova repulsione verso di loro. Spesso li allontana con dei bastoni, ed anche io devo ammettere di fare tanta fatica ad accoglierli: sarà perchè, dopo essere stato picchiato un po’ di volte, ho anche un po’ di paura. O forse sarà perchè mi sento così tanto ignorante nei loro confronti: ho coscienza di non sapere quasi nulla della malattia mentale; inoltre il più delle volte i nostri sforzi non portano ad un miglioramento stabile. Probabilmente nel mio inconscio la psichiatria non mi piace perchè non accetto “di non essere capace”, di essere totalmente spiazzato di fronte ad un mondo così incomprensibile e tanto difficile da gestire.
Eppure i cosiddetti matti ci sono: non possiamo neppure lavarcene le mani dicendo che li mandiamo al repartino psichiatrico del Meru District Hospital...
Cerchiamo quindi di rispondere pure a questa esigenza, anche se con paura e con evidente senso di inadeguatezza.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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