sabato 23 luglio 2011

Una triste storia vera

Domenica scorsa, subito dopo Messa, siamo stati chiamati per un cesareo urgente. Si trattava di una donna con un pancione enorme (tanto da far pensare ad un neonato molto grosso), con una cicatrice da pregresso cesareo, e con segni di distress fetale. Siccome le condizioni del nascituro non ci sembravano delle migliori, a causa del liquido pesantemente tinto di meconio, abbiamo deciso di entrare in sala immediatamente, senza prima fare una ecografia. Quel giorno avevo la fortuna di avere Jesse in turno, e quindi per me l’anestesia non costituiva uno stress. Abbiamo aperto l’utero alla “velocita’ della luce”, ma, con nostra sorpresa, non abbiamo trovato il bestione che ci aspettavamo; abbiamo invece estratto un bimbo molto piccolo che per altro si trovava in presentazione podalica.
Immediatamente la nostra mente si e’ “risettata”, nel sospetto che dentro quella panciona dovesse esserci qualcun altro... ed infatti due secondi dopo, abbiamo visto nuovamente un sacco amniotico estroflettersi attraverso la nostra breccia chirurgica.
Ho quindi avvisato l’assistente di sala che ci sarebbe stato un altro neonato. Anche questo secondo gemello e’ uscito con i piedini, invece che con la testa... ma tutto e’ andato benissimo.
Quando pero’ abbiamo comunicato alla mamma ignara il fatto che si trattava di un parto gemellare, ci siamo resi conto che per lei si trattava di una botta psicologica tremenda.
Non aveva eseguito nessun controllo ante-natale, per cui non se lo aspettava proprio; a casa aveva gia’ altre due piccole bocche da sfamare; ed ora, a ciel sereno, quelle bocche erano diventate quattro.
Ma si sa che l’amore della mamma supera ogni cosa, e quindi ero certo che quelle sopracciglia corrugate a causa della preoccupazione, si sarebbero poi rilassate ed il sorriso avrebbe avuto il sopravvento. Siccome poi per il post-operatorio abbiamo dei protocolli terapeutici molto precisi che vengono messi in pratica magistralmente dalle nostre infermiere, io non ho piu’ visto quella donna, certo che tutto stava procedendo normalmente.
Purtroppo pero’, un tarlo era entrato nella mente della madre nel momento stesso in cui le avevo dato la notizia dei gemelli, ed impercettibilmente quella che noi medici chiamiamo “psicosi puerperale”, si e’ impadronita di lei. In questo caso pero’ non ci sono state scene di agitazione o di pazzia che avrebbero attirato la nostra attenzione! La donna ha invece coltivato i suoi pensieri aberranti nel silenzio, organizzando la fuga dall’ospedale durante la notte... e purtroppo ci e’ riuscita, eludendo la sorveglianza degli infermieri e dei guardiani di turno. L’indomani mattina e’ stata poi ritrovata a Chaaria Market da alcuni residenti, i quali ce l’hanno riportata a forza: l’hanno riconosciuta sia per il comportamento bizzarro, perche’ indossava ancora la divisa del nostro ospedale. Quando l’abbiamo vista, tutta spettinata e con gli occhi fuori dalle orbite, ci siamo immediatamente accorti che era in preda ad una psicosi, e che sragionava completamente. La nostra attenzione e’ stata quindi attirata dal fatto che in braccio la donna portava un solo bambino.
“Dov’e’ l’altro gemellino?” ci siam chiesti l’un l’altro.
La madre non ci poteva aiutare perche’ era completamente confusa, e pareva non riconoscere neppure il piccolino ostinatamente attaccato al suo seno. Abbiamo iniziato le indagini. I “buoni samaritani” ci hanno assicurato che a Chaaria l’avevano incontrata con un solo bimbo in braccio. Nella stanza della maternita’ il secondo neonato non si trovava. Abbiamo sguinzagliato il personale nell’affannosa ricerca. Il problema era che non sapevamo neppure da dove fosse passata per fuggire durante la notte. Avrebbe potuto scegliere la via della “shamba” (la fattoria), ma i nostri dipendenti non trovavano traccia del bimbo ne’ sentivano vagiti provenire dai cespugli dei nostri campi. Alcuni di noi hanno iniziato a setacciare la strada che va dall’ospedale al market, ed ecco che inaspettatamente hanno udito un tenue vagito provenire dall’erba rinsecchita che costeggia la nostra rete di cinta, nel tratto dietro al blocco amministrativo.
Ci siamo avvicinati ed abbiamo scorto il gemellino scomparso giacere sul ciglio della strada, in un lettino di rovi.
Lo abbiamo portato in ospedale; lo abbiamo posto in incubatrice... e stranamente sembrava tutto perfettamente a posto per lui. Non pareva aver riportato traumi importanti; certamente non c’erano fratture. Era un po’ infreddolito, ma la temperatura corporea era normale. Lo abbiamo in seguito rimosso dall’incubatrice, e lo abbiamo posto in un lettino della nursery. La mamma era in un’altra stanza, sedata un po’ pesantemente, perche’ negli ultimi minuti aveva iniziato ad elaborare pensieri omicidi nei confronti dei piccolini.
E’ difficile conoscere con esattezza le dinamiche dell’accaduto. Quello che pare piu’ probabile e’ che la donna abbia prima lanciato al di la’ della rete di cinta i due neonati; quindi si sia arrampicata per scavalcare (pensate che era in terza giornata post-operatoria); e da ultimo abbia dimenticato di raccogliere uno dei due figli prima della fuga.
La fortuna e’ stata che l’erba rinsecchita ha fatto da cuscinetto per la caduta dei due piccoli sventurati. Ora i gemellini sono completamente separati dalla mamma. Usiamo il tiralatte per estrarre il latte materno dal seno di quella madre ignara e semi-addormentata. E speriamo che il “serenase” ci aiuti a dominare in fretta questa tremenda situazione di psicosi puerperale. I parenti ci dicono che era successo nuovamente al parto precedente, quando la mamma aveva tentato di buttare il figlioletto nel fiume in un momento di pazzia... ma poi si era ripresa completamente e per lungo tempo!
E questo e’ quanto speriamo ed auguriamo sia a lei, che al marito che soprattutto ai poveri gemellini

Fr Beppe



PS: nella foto il gemellino appena ritrovato.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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