sabato 16 luglio 2011

Macete, ed ancora macete

Negli ultimi due giorni, una delle ativita' piu' importanti dell'ospedale di Chaaria e' stata quella di suturare vari pazienti che erano stati letteralmente massacrati a colpi di machete (o panga in kiswahili).
In un caso e' stato il padre che ha "tagliato" il figlio per un litigio riguardante questioni che non mi interessano. In un altro si trattava di due fratelli che si sono "affettati" a vicenda nell'atto della spartizione della terra (sempre questa stramaledetta voglia di avere di piu' che tanta sofferenza porta nelle famiglie anche in Italia!).
Ma il caso piu' tremendo lo abbiamo ricevuto stamane: era una donna in coma proveniente dal Tharaka. E' stata massacrata con "pangate" in moltissime parti del corpo. Non sappiamo ancora se ha sviluppato pure un trauma cranico.
La storia che la polizia ci ha dato e' stata a dir poco inquietante: e' stato il marito a ridurla cosi', dopo aver ucciso anche la figlia sotto i colpi dello stesso machete.
La donna e' stata abbandonata dallo sposo ormai priva di sensi. Sicuramente il congiunto-malfattore pensava che la consorte fosse morta... altrimenti avrebbe continuato ad infierire!
Ora l'abbiamo suturata a dovere. Non sappiamo ancora se ci sono fratture, ne' se ha riportato qualche emorragia endocranica. Lei continua ad essere in coma, e non possiamo sapere se sia al corrente o meno della morte della figlia.
L'eco ha escluso emorragie interne a livello addominale, mentre domani speriamo di poter organizzare un trasporto a Meru per la radiologia convenzionale e per la TAC cerebrale.
Il marito si e' dato alla macchia ed al momento e' ricercato!
Deve essere un rapus di follia... altrimenti non posso spiegarmi come un genitore ed uno sposo possa arrivare a tanto nell'infierire contro le persone che lui piu' ama.
Il cuore dell'uomo e' un mistero insondabile... ed un ospedale rurale come il nostro, da un certo punto di vista, e' un ottimo osservatorio delle stranezze e della incomprensibilita' della psiche umana.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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