martedì 4 ottobre 2011

Il bananeto di Chaaria

Sicuramente e’ uno dei posti piu’ suggestivi della nostra missione e della nostra shamba.
Quest’anno poi, grazie ai lavori portati a termine con perizia dal nostro agronomo Kiambati, e grazie soprattutto al “water project” che ci permette di avere l’acqua del fiume, il bananeto e’ davvero lussurreggiante e ci offre in abbondanza frutti di diverse qualita’.
Ci sono bananine piccolissime e dolcissime, che i locali chiamano “sukari” (che in kiswahili significa zucchero); ce ne sono altre grandi e panciute, che sono pure buonissime e ti riempiono la pancia piu’ della polenta; altre ancora rimangono sempre verdi e pare non maturino mai (come quelle nella foto)... ma se le assaggi, sono ottime e zuccherine al di la’ del colore.
Altre banane sempreverdi invece non sono da mangiare crude, ma da cuocere: in kiswahili le chiamano “matoke”, e possono essere cucinate a mo’ di purea (piatto tipico denominato “mukimo” o “ndizi”), oppure in umido insieme a granoturco bollito.
Le larghe foglie di banana offrono un’ombra freschissima anche in giorni torridi come quelli di settembre... per cui la passeggiata in bananeto nel primissimo pomeriggio e’ altamente consigliata a tutti i volontari di Chaaria.
I piu’ fortunati tra loro poi potranno pure osservare, oltre agli enormi caschi di banane, anche il rosso fiore della pianta stessa... che non e’ cosi’ comune da vedere, ma certamente bellissimo.

Fr Beppe Gaido



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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