martedì 25 ottobre 2011

Tramonto

Il sole scende lento. Lo guardo rosso acceso sopra le chiome degli alberi mentre cammino veloce con alcuni volontari. 
Vogliono vedere il tramonto africano almeno una volta, ma a Chaaria non è facile perchè il sole cala dietro alla collina che si trova proprio a ridosso del Centro. 
Dobbiamo raggiungere la sommità del monte in pochi minuti; se no i nostri sforzi saranno vani, in quanto all’ equatore il passaggio tra la notte ed il giorno è molto rapido. 
Il sentiero si inerpica ripido, un venticello leggero fa ondulare le altissime acacie. E’ rilassante camminare e sudare liberi, dopo una giornata intensa di lavoro in ospedale.
Alcuni giovani volontari hanno paura delle zanzare e continuano a spruzzarsi autan, perché sanno bene che al tramonto l’anofele diventa più assetata di sangue. 
"Muga! Mugheni! Jambo! Kwa heri!": La gente, che ritornava alle proprie casette, ci saluta sorridendo un po’ ironicamente e chiedendosi dove mai vadano questi Bianchi che si dirigono verso la sommità ad un’ora così inconsueta e così vicina alla notte. 
Oramai a Chaaria tutti ci conoscono, i nostri volti pallidi sono immediatamente collegati al volontariato, all’ospedale, al servizio dei malati... quindi tutti sono gentili con noi. 
Sono contento di questa passeggiata offerta ai miei amici italiani, pur avvertendo nell'animo la malinconia per la loro partenza del giorno dopo. 
Il cielo è ora infiammato di un rosso vivo che dà una tonalità di colori molto particolari alla natura che si prepara a riposare. Il cancello dell'ospedale è ora piuttosto lontano, ma possiamo ancora vederlo dall’alto, piccolo come se fosse un plastico. 
Si sente il suono delle campane della comunità: è già ora della preghiera, ed io sono di nuovo in ritardo. I pendii delle colline sono già in ombra, le baracche dei venditori chiuse, solo qualche luce balena lontano nella campagna. 
Quello che è più affascinante è che oggi, mentre il sole va a nanna, già vediamo la luna salire sulle colline che imbruniscono. 
Guardo verso oriente e scorgo degli alberi alti e dei boschetti fitti e poi, lontano, la cima di colline azzurre, che si perdono nel cielo della sera: “là c’è Kiamuri, quella piccola maternità che abbiamo visitato domenica scorsa”, dico ai volontari. 
I loro occhi non si staccavano dai bambini, che ci hanno seguiti con curiosità fino alla cima. Ci sono molte lucciole in questa stagione: ci passano davanti e scompaiono come puntini luminosi nel folto dell’erba alta. 
Il nostro sguardo vaga sulla savana contemplando paesaggi che già stanno per essere avvolti dalle tenebre. 
Dolci colline, valli fitte di alberi, altipiani seminati, papaie e bananeti, macchie spinose, vaste pianure appena ondulate, vulcani spenti e ampie radure, estese paludi verdi, canne e giunchi. 
Il cielo limpido della giovane notte è solcato da nubi bianche spinte dal vento. 
Ma ora è troppo tardi: “Ragazzi, dobbiamo tornare di corsa; altrimenti non ci vedremo più nulla, ed abbiamo anche dimenticato di portarci le torce”.

Fr Beppe 


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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