martedì 15 novembre 2011

Blowing in the wind


Carissimi amici del blog,

è mezzanotte e sono molto depresso. La giornata era stata piena già di per sè; poi sono venute due emergenze nello stesso momento: una mamma da cesarizzare ed una bambina di 12 anni violentata da uno sconosciuto.
Il caso della bimba mi ha sconvolto perchè la conosco. Frequenta le scuole primarie di Chaaria e stava rientrando a casa verso le ore 18. Secondo quanto i suoi genitori mi hanno raccontato, la piccola è stata assalita dallo stupratore a poche centinaia di metri dall’abitazione, quando ancora non era buio. Era in preda allo shock e non parlava. In compenso perdeva molto sangue.
A questo punto si colloca l'inizio della mia crisi. Decido che devo suturare la bambina e che devo farle anche l'anestesia generale, perchè lei non vuole saperne di farsi toccare. Ci mettiamo quindi del tempo: l'induzione del sonno non è immediata perchè la paziente è terrorizzata e rifiuta anche la vena. Pure cucire è stato laborioso e lungo.
Finito questo primo intervento andiamo in sala operatoria per il cesareo: tutto nella norma. Anestesia spinale senza problemi. Tempo tra incisione della cute ed estrazione del feto non superiore ai 4 minuti... però lo spettacolo che ci si presenta davanti non è dei più belli... il bambino non piange, ed anche dopo la rianimazione non ce la fa.
Che dolore!!!
Avessi fatto il cesareo per primo!!!
Che cretino che sono!!!
Dopo tanto tempo non mi rendo ancora conto che un cesareo non va mai posticipato di un minuto!!! Ormai però è troppo tardi: ho fatto una scelta; ho dato la precedenza alla bimba stuprata; forse sono stato troppo emotivo. Il fatto comunque e’ che sempre sono da solo a portare il peso di queste decisioni, e sovente anche il ritmo battente di Chaaria e la stanchezza tremenda possono interferire sulla lucidita’ di giudizio.
Purtroppo un'altra mamma che si era rivolta a noi perchè le donassimo il piccolo che per nove mesi si era portato nel cuore e nella pancia, sarà invece dimessa dall'ospedale a mani vuote.
Come dice il proverbio: “piove sempre sul bagnato”.
L’esperienza che vi racconto e’ infatti avvenuta in una settimana in cui avevo gia’ perso un altro bambino al cesareo. In quella occasione ho avuto la sensazione opposta rispetto ad oggi: ho avuto cosi’ paura delle possibili complicazioni, che forse ho deciso per l’operazione troppo in fretta... Sarebbe probabilmente stato meglio per me cercare di fermare le contrazioni uterine e dare al bambino ancora due settimane di maturazione in utero. Anche in quella situazione la mia decisione era avvenuta alle 11 di sera, quando ero completamente solo: a me sembrava la cosa migliore tirar fuori il bimbo che pesava circa due chilogrammi, in quanto mi sembrava grande abbastanza per farcela. Il battito cardiaco non era dei migliori e la sua presentazione era tale che il parto naturale sarebbe stato improponibile. Sono quindi entrato in sala scegliendo il cesareo elettivo... e davanti a Dio ero convinto che fosse la scelta giusta!
Ed invece il neonato non ce l’ha fatta!
I suoi polmoni non erano maturi abbastanza, ed ha smesso di respirare in meno di ventiquattr’ore.
E la mia tortura interiore continua: se avessi suturato la bambina dopo il cesareo, probabilmente quel nascituro sarebbe vivo; ma la bimba violentata non avrebbe corso rischi di morire dissanguata?
Avrei potuto non cesarizzare quall’altra mamma, e darle dei farmaci che avrebbero tentato di fermare le contrazioni. Ma chi mi dice che quel fetino sarebbe sopravvissuto nel grembo materno, visto che gia’ il battito non era dei migliori?
Non lo sapro’ mai!
Quando ero giovane, spesso cantavo con gli amici una canzone di Bob Dylan, “BLOWING IN THE WIND”, che diceva piu’ o meno: “RISPOSTA NON C’E’, O FORSE CHI LO SA, PERDUTA NEL TEMPO SARA’”.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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