lunedì 14 novembre 2011

La domenica di Chaaria



Sono le 23 e mi avvio verso camera mia trascinando i piedi.
La luna è piena e ci si vede benissimo. Gli alberi di papaia vicino all’ospedale fanno addirittura ombra. Mentre cammino guardo in alto e mi viene un tonfo al cuore nel contemplare la selvaggia bellezza delle nuvole rischiarate dalla soffusa luminosità lunare. Che bello il cielo nella stagione delle piogge! Crea nel mio cuore un’atmosfera biblica e mi aiuta a pensare a Dio.Voglio passare in cappella e salutare il Signore anche se non avrò la forza di aprire un libro o di recitare un salmo.
Mi siedo al buio per qualche minuto, semplicemente guardando il tabernacolo che intravedo nella luce rossa del cero.Offro al Signore la mia domenica. Avrebbe dovuto essere un giorno di riposo, un giorno da dedicare alle “cose di Dio”… e invece è stato un susseguirsi di corse e di problemi difficile da risolvere. Fortunatamente sono riuscito a partecipare alla Messa con i malati nella lavanderia dell’ospedale. E’ sempre bella questa Eucaristia, celebrata nel cuore della nostra casa della sofferenza e della speranza, in mezzo a tante persone che soffrono e che ripongono in noi tanta fiducia. Quando sono seduto sulle panche e guardo tutti quei volti segnati dalla malattia, quelle mamme che allattano bambini più o meno malconci, quelle puerpere così orgogliose del dono di vita appena ricevuto da Dio, allora sento che la mia Messa è vera, è un reale incontro con quel Dio che mi ha donato forza e luce per aiutare tante persone nel suo nome. L’Eucaristia con i malati è come il completamento della settimana, in cui ringrazio Dio per tutte le volte in cui mi ha aiutato a non farepasticci, in cui mi ha dato luce per dare la terapia corretta, in cui mi ha dato la forza per alzarmi anche di notte per rispondere ad una chiamata, in cui ha guidato la mia mano in sala operatoria anche quando a metà intervento avrei voluto svenire perché non ero più in grado di continuare.Spesso poi, come oggi per esempio, la Messa prosegue anche dopo, quando Dio mi viene incontro e mi chiede di continuare a riconoscerlo in coloro che soffrono e che hanno bisogno del mio aiuto, anche se è domenica, anche se avrei voluto riposare e prendermi qualche momento di svago.
Lavorare per la vita a tempo pieno è certamente una via moderna di evangelizzare, e questo pensiero placa un po’ i miei sottili sensi di colpa che nascono spesso dal fatto di trovare così poco tempo per la preghiera anche di domenica.In cappella al buio mi viene da pensare a quanto sia importante la fede per continuare a lottare nel campo della sofferenza, al di là di tutte le sconfitte e della fatica a volte veramente grande; una fatica che spesso non è solo fisica, ma più profonda: è un senso di depressione che ti assale quando vedi la disonestà della gente che non apprezza il tuo sacrificio quotidiano, ma pretende sempre di più e spesso ti tradisce.Penso però a tutti i pazienti che ho incontrato oggi, “giorno del Signore”, e con la mente ritorno alle parole del Cottolengo: “Ricordatevi che è una bella cosa sacrificare la salute ed anche la vita al servizio dei poveri e dei sofferenti”. “Dovete servire i malati impegnandovi senza misura, fino al sacrificio della vita”.
Questi pensieri mi ridanno pace e mi fanno pensare che anche oggi sono stato in comunione con Dio e l’ho incontrato da vicino. Sto ciondolando e mi rendo conto che è ora di andare a letto. Guardo il tabernacolo e concludo la mia preghiera dicendo semplicemente: “ buona notte, Gesù”.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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