domenica 4 dicembre 2011

Gioie semplici di Chaaria

Un'altra chiamata urgente in ospedale. Mi sono vestito in 3 minuti e sono corso, dimenticandomi persino gli occhiali. Non era quello che mi aspettavo. 
Credevo fosse un caso di gestosi, e pensavo di dover fare un altro cesareo. Invece mi sono trovato davanti una giovane donna in stato di agonia. 
Repirava appena: noi medici diciamo che aveva “gasping”, che in parole semplici significa quel modo di respirare degli ultimi minuti. 
Aveva una placenta ritenuta ed aveva sanguinato tutta la notte. Infatti aveva partorito per strada mentre cercava di raggiungere una maternità in Tharaka. Donne di buona volontà l’avevano aiutata nel parto, ma erano forse inesperte e non avevano legato bene il cordone ombelicale. 
Quando la mamma raggiunse la suddetta maternità, le fu detto che loro non potevano gestire il suo caso perché non avevano possiblità di dare anestetici per togliere manualmente la placenta, e poi non avrebbero potuto trasfonderla. 
Quella struttura non aveva né auto né autista, per cui il marito si è trovato nella necessità di portare la mamma sul retro della bicicletta. 
Il parto era avvenuto verso le 22, e la mamma era giunta a Chaaria alle 5 di mattina, quasi completamente esangue. Ci siamo attivati. Abbiamo trovato la vena femorale, e l’abbiamo trasfusa velocemente. 
Abbiamo rimosso la placenta e pian piano la mamma si è ripresa, ha cominciato a parlare e sembrava completamente fuori pericolo. Ha chiesto della sua bambina, ed è stata felice di sapere che la bimba era in perfette condizioni. 
Ha iniziato a mangiare qualcosa e non la finiva più di raccontare di come era stata trasportata prima in bicicletta, poi su una cariola e quindi su un “matatu” preso in affitto dal coniuge. 
Ero pieno di gioia. 

Fr Beppe 


 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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