venerdì 16 dicembre 2011

Joy Mwendwa

E' stata una delle prime orfane che con sr Oliva abbiamo accolto a Chaaria nel 2002.
L'abbiamo accolta neonata, in quanto la sua mamma era morta di malaria pochi giorni dopo il parto. L'avevamo coccolata e tenuta con noi per quasi due anni, in quanto il papa' era disorientato e poverissimo. Il padre era ed e' tuttora un commerciante di polli. 
Poi il genitore si era risposato ed aveva deciso di riprendere la figlioletta con se'. Eravamo andati in delegazione ad accompagnarla a casa, a Nkumbo, una frazione di Chaaria. 
Con noi c'era Sr Oliva, che era stata la mamma di Joy per tutti quei mesi... e con noi c'erano dei volontari: ma non mi ricordo assolutamente chi! Oggi Joy e' venuta a trovarci con il suo papa'. 
Non si ricorda di noi, ma non piange al vederci, nonostante la nostra faccia bianca; Joy sa da suo papa' quel che abbiamo fatto per lei. E' quindi stata molto socievole con noi, ed e' stato bello rivederla, ed intravvedere le stesse fattezze che noi avevamo contemplato e vezzeggiato in eta' neonatale, ora sul viso di una bellissima bambina... che tra l'altro e' anche la prima della classe. 
Frequenta la quarta elementare nella scuola pubblica di Nkumbo, e ci ha fatto vedere la pagella... e' davvero una bimba speciale, che sta venendo su molto bene, per la gioia del papa'; e noi in qualche modo abbiamo collaborato nel lungo processo della sua crescita.
Rivedere Joy mi ha fatto ripensare a Ian, a Mark, a Mukomwenda, ed a molti altri bambini di quegli anni. 
Li penso ormai grandicelli, e mi rammarico di non essere stato in grado di tenere i contatti con loro. 

Fr Beppe Gaido 


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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