venerdì 27 gennaio 2012

Makembu


Era il fratello di una nostra suora di clausura di Tuuru.
Da tempo lo seguivo per un carcinoma epatocellulare, che avevo diagnosticato prima ecograficamente e poi con biopsia. Si trattava di una grossa massa del lobo destro, che al paziente procurava dolore e senso di  peso all’area epatica.
E’ rimasto stazionario per molti mesi, creando, specialmente nella sorella, l’illusione di un miracolo.
Purtroppo pero’ l’epatoma non perdona. Dietro al relativo benessere di Makembu, le cellule tumorali lo consumavano e lo mangiavano poco alla volta.
Tre giorni fa e’ stato portato a Chaaria in coma epatico, e non ha mai ripreso coscienza, nonostante le nostre terapie. E’ passato dall’incoscienza alla morte forse senza sentire dolore, e lasciandoci ancora una volta senza parole.
Makembu era infatti ancor giovane, sulla quarantina, e lascia dietro a se’ una moglie e due figli in condizioni di estrema poverta’.
Il carcinoma epatocellulare e’ molto frequente a Chaaria, per ragioni che ci sfuggono totalmente.
Qualcuno indica un contaminante del granoturco chiamato aflatossina, come un possibile agente eziologico… ma la realta’ e’ che anche questa ipotesi non ci aiuta molto in quanto non abbiamo I mezzi tecnici ne’ per analizzare il mais per la presenza del contaminante, ne’ possiamo consigliare alla gente di astenersi dal granoturco che e’ certamente un piatto basale nella dieta africana.
Non conosciamo altre vie per la prevenzione. In questo caso l’alcool non sempbra coinvolto nella genesi del tumore.
Ci troviamo quindi con le mani assolutamente legate. Non siamo in grado di preveniire e non abbiamo alcuna terapia quando il tumore viene scoperto: la chemioterapia infatti e’ per lo piu’ inefficace, ed inoltre pochissimi avrebbero i soldi per recarsi al Kenyatta National Hospital per tale trattamento.
Anche la storia di Makembu e’ un richiamo alla nostra totale impotenza di fronte ai tumori maligni.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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