Solo dieci giorni fa sbarcavo dall’aereo che mi
riportava a casa dopo un mese a Chaaria. Quaranta gradi di differenza tra il
caldo Keniota ed il gelo padano ed un grande bagaglio di nuove sensazioni,
impressioni, ricordi da digerire e riordinare.
Ho impiegato giorni a lasciar sedimentare,
riflettere, ricordare con più calma.
Chaaria è sempre più un cantiere, non solo fisico,
con i lavori della nuova sala operatoria, ma anche nei progetti per il futuro e
nel lavoro di tutti i giorni.
L’afflusso di malati è inarrestabile (ed è bene così),
ma siamo stati sempre in overbooking, sempre di corsa, con la sensazione di
essere, nonostante tutti i nostri sforzi, un passo indietro alle necessità: la
classica rincorsa di Achille alla tartaruga.
E’ stato anche un periodo entusiasmante per la
varietà e la qualità dei volontari presenti, con frequenti arrivi e partenze,
con gli inevitabili risvolti psicologici, rimpianto di chi hai appena
conosciuto e curiosità per chi ti è appena apparso davanti.
E’ stato anche un momento per rinsaldare la
conoscenza e l’amicizia con i Fratelli per apprezzarne l’impegno e la presenza
continua ed attenta.
Il momento più impegnativo si è verificato quando
Fr. Beppe si è dovuto allontanare, affidandoci di fatto l’ospedale. Eravamo
ed io forse più di tutti assolutamente preoccupati di mandare avanti bene il
lavoro, di non fare guai, di non deludere Chaaria e noi stessi. Mi ha colpito
molto, in quei giorni, lo sforzo di aiuto reciproco che si è verificato, dal
saggio ed esperto Antonio al più giovane dei volontari e gli “storici” dello
staff locale: ci siamo “riuniti a coorte” con una determinazione che ci ha reso
più forti.
Nella cena comunitaria dDurante la serata dei saluti
prima della partenza, ho raccontato, che, quando in Italia parlo di Chaaria,
spesso uso il NOI; noi facciamo…. noi vediamo…. Non voglio intestarmi meriti
che non ho, ma mi sento di poter dire che Chaaria è anche un po’ la mia casa
africana, una realtà che vivo poi tutto l’anno nel blog, nelle lettere pubblicate,
nei racconti di situazioni che avrei potuto affrontare.
I prossimi anni possono
diventare ancora più entusiasmanti: la nuova Sala Operatoria, la nuova
Maternity, l’apparecchio radiologico probabilmente in arrivo e chissà
cos’altro. Sono momenti che non mi voglio proprio perdere: il cantiere Chaaria
ha bisogno di molti operai: rimbocchiamoci le maniche.
Max
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