martedì 13 marzo 2012

Alti livelli di stress

Ero ancora a messa quando sono stato chiamato urgentemente per una placenta ritenuta. Pensavo che i volontari fossero a letto, e quindi mi sono aggiustato con lo staff locale, per non disturbarli. E’ stato un lavoro lungo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta a salvare quella donna in preda ad una emorragia terribile.
Subito dopo questa prima procedura d’urgenza era la volta di una amputazione di braccio destro. Era una situazione veramente difficile: un giovane preso a colpi di machete che ha perso la mano destra da qualche parte nella notte. E’ venuto in ospedale con l’arto completamente troncato e le ossa esposte... della mano nessuna traccia.
Non si poteva lasciarlo cosi’, a causa dei rischi di infezione, e quindi abbiamo deciso per una amputazione classica, in cui abbiamo rimosso l’osso sporgente ed abbiamo suturato adeguatamente la parte.
Ma i problemi hanno continuato ad accavallarsi.
Eravamo quasi alla fine dell’intervento, stanchi ma contenti, quando ci e’ stato comunicato che avremmo avuto un cesareo urgente... il battito cardiaco fetale non era dei migliori.  La notizia ha originato in noi una spontanea iniezione di adrenalina endogena, e ci siamo dati da fare per terminare velocemente, e preparare la stanza in tempo record.
Ma appena fuori, quando ancora grondavo di sudore come un pulcino bagnato, mi e’ stato chiesto di fare una ecografia urgente perche’ forse c’era una gravidanza extrauterina. In effetti il test sonografico ha confermato la diagnosi: gravidanza tubarica in prerottura.
“Che fare ora? Chi entra in sala per primo?”
“Cerchiamo di salvare il bambino con il cesareo. Facciamo piu’ in fretta possibile, e poi facciamo l’operazione per l’ ectopica”, mi suggerisce il saggio Jesse.
Le ragazze sono velocissime a pulire la sala.
Il cesareo procede veloce e senza complicazioni, e lo terminiamo in 40 minuti.
Partiamo quindi con l’ectopica. Il nostro lavoro procede bene, e riusciamo a fermare l’emorragia in tempi brevi. La donna e’ quindi fuori pericolo, anche se ancora rimane molto lavoro per richiudere il suo addome.
Come se non bastasse, appena terminato questo intervento, sono stato chiamato per eseguire una ecografia urgente per una donna che ha evidenti segni di peritonite.
La mia eco e’ stata spietata: si trattava di una perforazione intestinale, e  bisognava agire subito. Lo sciopero continua, e quindi, volenti o nolenti, dobbiamo intervenire qui a Chaaria.
Kanyua, che non ha fatto ne’ pausa ne’ pranzo, mi ha quindi detto disperata: “con il generatore piccolo non abbian potuto sterilizzare. Ora useremo le ultime cose sterili. Se capita un cesareo non so cosa faremo”.
Entriamo quindi in sala per la peritonite, stanchi e spaventati di quello che avremmo potuto trovare: saremmo stati in grado di finire l’operazione? Ogembo, Antonio, i volontari, gli infermieri ed i clinical officers intanto si occupano dei pazienti ambulatoriali e dei reparti che stanno letteralmente scoppiando.
La luce intanto e’ tornata ed abbiamo potuto riprendere la sterilizzazione.
Alle ore 20 l’operazione era conclusa, e la malata sembrava stabile; il generatore grande e’ stato riparato, e quindi ora non temiamo piu’ se manca la luce nuovamente.
Ho mandato Jesse a mangiare, e fr Giancarlo e’ partito con la macchina per accompagnare a casa le ragazze della sala, distrutte dalla giornata di lavoro e tensione.
Purtroppo ormai questa e’ una giornata qualunque... e sicuramente stanotte ci chiameranno per qualche emergenza.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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