giovedì 1 marzo 2012

Sono partite per Cagliari

“Che regalo trovarmi qui con voi a condividere questa vita dedicata alle persone richiedenti cure, affetto e presenza. Gli occhi sofferenti di tanti uomini, donne e bambini mi attraversano la testa e l’anima; eppure il dolore e la gioia sono sovrapposti in una spirale continua. La determinazione e la delicatezza di alcuni di voi mi han colpito e non sorpreso. Il senso ricercato ogni giorno, in ogni passo, ogni gesto, ogni scelta.
Ho potuto dedicare una piccola parte del mio tempo e delle mie comptetenze, sentendomi spesso inadeguata eppure decisa ad esserci. Ognuno di noi puo’ offrire un piccolo contributo. Alcuni un grande contributo. Per me in questo momento un piccolo aiuto, pronta a tornare per fare meglio.. Grazie a voi.” 
Elisa

“Per me l’esperienza a Chaaria e’ l’esperienza piu’ forte di fede che riesco a vivere in un anno. L’insieme delle esperienze sia in ospedale, sia nella vita comunitaria mi fanno toccare con mano, ma soprattutto con il cuore, come l’amore di Dio superi ogni cosa.
Anche se il mio contributo e’ tanto piccolo, credo che anche poco sia tantissimo per chi non ha niente, e pur sentendomi tanto inadeguata perche’ le mie competenze sono cosi’ scarse rispetto alle richieste, torno a casa con una serenita’ che niente e nessuno riesce a darmi.
Grazie per avermi fatto sentire a casa, e fatto sentire importante. Spero di aver presto altre occasioni per condividere altri moment cosi’ speciali.”
Fausta

“Ancora un grazie per avermi dato la possibilita’ di fare questa esperienza di medico ginecologo in questa zona dell’Africa. Spero di tornare ancora per condividere i problemi di Chaaria e dei suoi abitanti.
Vi saluto con tanto affetto”.
Lucia


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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