martedì 17 aprile 2012

Incontri da brivido

Durante la stagione delle piogge bisogna stare molto attenti a dove si mettono sia i piedi che le mani. 
A parte il mamba nero che spesso possiamo incontrare in giro per la missione (l'ultimo l'ho ucciso alcuni giorni fa davanti alla porta del refettorio), ci si puo' imbattere in ragni pericolosi (due notti fa alle 23 mi sono trovato con i piedi ad un centimetro da una gigantesca tarantola per la verita' molto sollolenta; e' stato quindi facile farla fuori) o in scorpioni (per esempio stamattina, raccogliendo un lenzuolo steso in lavanderia, io e Makena ce ne siamo trovato uno quasi tra le mani... anche oggi abbiamo avuto fortuna e lo abbiamo schiacchiato sotto le scarpe senza farci pungere). 
Sono incontri non molto frequenti, ma non cosi' eccezionali... soprattutto nella stagione delle piogge. I nostri scorpioni sono gialli e piccoli, e sono molto meno pericolosi degli scorpioni neri sudamericani. 
La puntura e’ comunque dolorosissima ed invariabilmente complica con formazione di ascessi che poi spesso bisogna incidere. Non ho mai visto nessuno morire per la puntura di uno scorpione. 
A Chaaria abbiamo alcuni tipi di ragni velenosi: il piu’ pericoloso e’ la tarantola (grosso esemplare di aracnide peloso e grande quasi come un topo). 
La gente qui la chiama “sette passi”, perche’ ritiene che, dopo il morso, una persona muoia quasi istantaneamente. Per la puntura di scorpione come per i morsi di ragno, seguiamo piu’ o meno lo stesso protocollo indicato per i morsi di serpente. 
La maggior parte dei pazienti avra’ solo complicazioni locali. Non abbiamo a disposizione un siero antiveleno. Nel caso di segni sistemici di avvelenamento da scoprpione, come per esempio convulsioni, usiamo del fenobarbitone. 
A volte lo scorpione provoca complicanze cardiovascolari come ipertensione e bradicardia severa: ricorriamo quindi ad atropina e vasodilatatori. 
Si tratta comunque di evenienze molto piu’ rare se paragonate agli incidenti da serpente velenoso. 

Fr Beppe Gaido 


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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