“Karwirwa (questo e’ il suo nome) e’ di
Giaki. Sapeva di aver avuto un pregresso cesareo due anni prima. Suo marito,
che lavora lontano, le aveva anche lasciato i soldi per venire all’ospedale, ma
lei ha voluto provare a partorire a casa. Lei e le sue vicine hanno provato da
stamattina, ma il bimbo non voleva nascere. Stasera si sono decise a venire in
ospedale, ed hanno scelto di camminare… ma a tre chilometri da qui, Karwirwa ha
avuto delle forti contrazioni ed il piccolo e’ nato in un prato. Purtroppo non
respirava bene, forse perche’ la
mamma era stata in travaglio per troppe ore. Noi non sapevamo come aiutare il
bambino, che e’ spirato tra le nostre mani dopo pochi minuti. Qualcuno ha
insistito dicendo che, avendo gia’ partorito, Karwirwa avrebbe dovuto tornare a
casa, dopo il secondamento della placenta. Ma le cose sono andate di male in
peggio: dopo aver espulso la placenta, la mamma ha cominciato a sanguinare
profusamente. In un attimo e’ diventata troppo debole per camminare. Abbiamo
cercato un matatu affannosamente, ma il tempo necessario per trovare una
macchina e’ stato troppo lungo. Una volta caricata di peso sopra l’auto,
Karwirwa ha solo dato gli ultimi respiri sotto i nostri sguardi attoniti ed
impotenti. Avevamo un bimbo morto tra le braccia e stavamo assistendo alla alla
dipartite della mamma, senza che potessimo farci nulla.mercoledì 2 maggio 2012
Uccisi dall'ignoranza più che dalla povertà
“Karwirwa (questo e’ il suo nome) e’ di
Giaki. Sapeva di aver avuto un pregresso cesareo due anni prima. Suo marito,
che lavora lontano, le aveva anche lasciato i soldi per venire all’ospedale, ma
lei ha voluto provare a partorire a casa. Lei e le sue vicine hanno provato da
stamattina, ma il bimbo non voleva nascere. Stasera si sono decise a venire in
ospedale, ed hanno scelto di camminare… ma a tre chilometri da qui, Karwirwa ha
avuto delle forti contrazioni ed il piccolo e’ nato in un prato. Purtroppo non
respirava bene, forse perche’ la
mamma era stata in travaglio per troppe ore. Noi non sapevamo come aiutare il
bambino, che e’ spirato tra le nostre mani dopo pochi minuti. Qualcuno ha
insistito dicendo che, avendo gia’ partorito, Karwirwa avrebbe dovuto tornare a
casa, dopo il secondamento della placenta. Ma le cose sono andate di male in
peggio: dopo aver espulso la placenta, la mamma ha cominciato a sanguinare
profusamente. In un attimo e’ diventata troppo debole per camminare. Abbiamo
cercato un matatu affannosamente, ma il tempo necessario per trovare una
macchina e’ stato troppo lungo. Una volta caricata di peso sopra l’auto,
Karwirwa ha solo dato gli ultimi respiri sotto i nostri sguardi attoniti ed
impotenti. Avevamo un bimbo morto tra le braccia e stavamo assistendo alla alla
dipartite della mamma, senza che potessimo farci nulla.Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.
Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.
Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.
Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.
Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.
E poi, andare dove?
Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.
Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.
Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.
Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.
Questo è quello che facciamo, ogni giorno.
Fratel Beppe Gaido
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