venerdì 22 giugno 2012

Il nostro garzie da Chaaria

Domani 23 giugno alla Piccola Casa di Torino si terra’ la giornata di formazione per i volontari.
Ringraziamo di vero cuore gli organizzatori, i docenti ed i coordinatori dell’importante evento della vita associativa.
La formazione e’ la chiave di volta per impostare un volontariato serio e fecondo e per porre le basi di un’ottima collaborazione durante il periodo di permanenza a Chaaria.
Con questo scritto intendo semplicemente riaffermare il pieno sostegno e la comunione di intenti da parte di tutti noi di Chaaria.
Siamo convinti che piu’ investiamo in formazione e piu’ migliorera’ il nostro servizio a Chaaria.

Un elemento che intendo sottolineare e che ha radicalmente modificato e migliorato il volontariato a Chaaria e’ stata la pre-condizione di sapere l’inglese. Direi che da questo punto di vista la qualita’ delle presenze a Chaaria e’ migliorata moltissimo, ed ha reso possibile una collaborazione molto piu’ efficace tra volontari e staff locale, ed anche tra volontari di nazionalita’ diverse.

Quello che scrivo di seguito deve essere letto in chiave assolutamente costruttiva e positiva. Vuole essere uno stimolo ad un ulteriore passo avanti nella collaborazione tra Chaaria ed i volontari. Nella riflessione di oggi vorrei proporre altre due aree in cui a mio parere potremmo focalizzare il nostro impegno al miglioramento per il prossimo futuro:
1) Il servizio degli infermieri: mi pare che al momento questa sia la categoria professionale che fa piu’ fatica ad integrarsi ed a vivere una bella esperienza a Chaaria, soprattutto per le dinamiche che a volte si creano nei confronti dei nostri infermieri. Le difficolta’ con il nostro personale infermieristico sono reali ma devono tener conto delle nostre difficolta’ oganizzative e del materiale umano con cui “facciamo fuoco”. Gli infermieri vanno incoraggiati quindi alla pazienza, al non-giudizio, alla disponibilita’ a lavorare in prima persona cercando di incoraggiare il nostro staff al cambiamento piu’ con l’esempio che con le parole. Penso che sarebbe utile raccogliere dagli infermieri venuti a Chaaria ultimamente le loro impressioni e le loro difficolta’, in modo da offrire una formazione che prepari psicologicamente i futuri candidati. Comunque vi assicuriamo che stiamo lavorando alacremente per portare i nostri infermieri a piu’ alti standard di nursing.
2) I medici internisti: anche questa mi pare un’area di volontariato da ripensare e da sostenere perche’ c’e’ qualche difficolta’. Gli internisti che vengono per poche settimane devono assolutamente fare riferimento al Dr Antonio (per il reparto uomini) o ad Anderson (per il reparto donne). Se questo non avviene si corre il rischio di creare delle difficolta’: i nostri infermieri non capirano il nuovo modo di impostare la visita, le nuove prescrizioni, il nuovo modo di richiedere gli esami, e via dicendo. Gli internisti devono quindi essere molto umili ed accettare che il reparto ha un suo respiro ed un suo ritmo che di necessita’ non puo’ cambiare ogni due o tre settimane. Anche in questo caso riconosciamo che a Chaaria dobbiamo migliorare molto, ma cio’ deve avvenire con calma e pazienza e secondo ritmi accettabili dalla mentalita’ del nostro staff. I cambiamenti proposti dai volontari saranno costruttivi e duraturi nel tempo solo dopo aver instarato un rapporto
di fiducia e stima con il nostro personale locale... altrimenti, subito dopo la partenza del volontario, tutto ritorna come prima!

Sara’ anche importante che l’infermiere ed il medico internista sappiano che in reparto abbiamo un caposala, che e’ Peter. In sua assenza la responsabile e’ Joyce... e se anche lei e’ di riposo, ci si deve riferire a Zaveria.
Questa informazione andrebbe passata gia’ agli incontri formativi o almeno i volontari dovrebbero sapere che essi non si devono riferire direttamente ad uno staff qualunque per le loro richieste, ma specificamente alle persone indicate.
Capita infatti di sentir dire che i nostri infermieri non lavorano; che gli italiani sono lasciati soli a fare l’igiene del malato; che in genere, se un infermiere kenyota viene chiamato per aiutare in tali pratiche, egli si defila e manda un OSS.
Io non li voglio assolutamente difendere e stiamo veramente lavorando per migliorare il livello delle nosre prestazioni infermieristiche: ma magari quell’infermiere aveva altri compiti da espletare da parte del caposala Peter. Gli infermieri volontari provino a rivolgervi ai responsabili e a seguire la normale via dell’autorita’, e sono convinto che anche tante piccole incomprensioni tra i volontari e lo staff infermieristico potranno essere molto attenuate. Altra idea di fondo che ormai mi sono fatto e’ che sia noi Fratelli che i volontari devono far riferimento soprattutto agli infermieri piu’ anziani che sono anche i piu’ motivati a rimanere a Chaaria. I giovani sono qui per una stagione, e normalmente gia’ hanno fatto richiesta di lavoro in altri ospedali: essi spariranno in un batter d’occhio ed e’ evidente che non hanno un attaccamento al nostro ospedale.

Informo inoltre che sono in corso dei cambiamenti richiesti dal governo del Kenya nella organizzazione del lavoro in reparto. Sara’ quindi importante che ogni innovazione nell’impostazione del nostro lavoro sia concordata dal volontario con il sottoscritto, purtroppo unico responsabile legale di fronte alle autorita’ del Kenya.

Questi sono solo alcuni stimoli di formazione che tentano anche di armonizzare sempre di piu’ lo splendido lavoro che voi fate in Italia, con le dinamiche sempre nuove di una fucina perennemente in gestazione come quella di Chaaria.
Non ho parlato dei chirurghi perche’ in quel settore mi sembra tutto piu’ facile, per il fatto che io sono presente con loro tutto il giorno ed anche perche’ essi devono interfacciare con meno persone nel ristretto ambito della sala operatoria.

Buon lavoro per domani. Sentitemi presete con amicizia e supporto.

Fr Beppe



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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