domenica 22 luglio 2012

Cecilia



Con commozione ed una punta di tristezza abbiamo salutato Cecilia durante una cena comunitaria a base di pastasciutta all’italiana preparata dagli altri volontari.
Cecilia partira’ martedi’ pomeriggio da Chaaria, ma la domenica sera ci ha dato l’occasione di una festicciola culinaria piu’ che meritata.Cecilia e’ una giovane ostetrica di Milano, ed e’ stata con noi nelle ultime tre settimane.
L’abbiamo veramente ammirata per la disponibilita’ totale ventiquattr’ore al giorno, per la sua ottima collaborazione con i nostri infermieri e con gli altri volontari, per la sua competenza, per il suo rapporto sempre empatico con le mamme della sala parto… e soprattutto per la sua capacita’ di stare sempre al suo posto.Questa e’ la caratteristica che piu’ ci ha colpito di Cecilia e che fa di lei una persona speciale per Chaaria: e’ stata sempre di una discrezione veramente ammirevole.Cecilia era sempre contenta di tutto, non si lamentava mai di niente, per lei andava sempre tutto bene… e poi ha sempre lavorato tantissimo (anche al sabato ed alla domenica).
Personalmente la ringrazio per le volte in cui abbiamo collaborato in sala operatoria, sia per i cesarei che per le revisioni della cavita’ uterina: Cecilia e’ bravissima e preparata, ma non ha mai voluto strafare, ed anche in sala e’ stata discreta, scegliendo sempre di fare da “terza” durante le operazioni, e tirandosi indietro tutte le volte che altri volontari scalpitavano per “lavarsi” al cesareo.Sono veramente ammirato da questa sua dedizione alle malate, unita ad una discrezione davvero matura!Cecilia ci manchera’.
Sono sicuro che manchera’ anche alle infermiere della sala parto.Ci ha promesso di tornare ancora… e noi lo speriamo davvero.

Fr Beppe a nome di tutti i confratelli

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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