lunedì 23 luglio 2012

Homo homini lupus



Da due giorni siamo ingolfati da episodi di violenza inaudita. Sono delle ondate che a volte sembrano sparire per un po’ e poi riappaiono in tutta la loro raccapricciante attualita’.
Naturalmente questo non vuol dire che i volontari si debbano spaventare sulla situazione del Kenya: basta pensare a quel che e’ appena successo nel cinema di Dever o agli innumerevoli casi di violenza che leggo sui quotidiani italiani, per capire che il problema non e’ la latitudine o la nazione in cui si vive. Il vero problema e’ l’essere umano, e la sua innata violenza verso il proprio simile.
Ieri mattina abbiamo assistito una ragazza “machetata” dal fratello per una questione di eredita’: la panga e’ scesa violentemente sul suo braccio sinistro, ha tranciato arteria e nervo ulnare, muscoli e tendini, per poi fratturare l’ulna. E’ stato un lavoro lungo, subito dopo la messa domenicale: dapprima abbiamo fermato l’emorragia arteriosa, e poi, con pazienza certosina abbiamo cercato i tendini che nel frattempo si erano retratti parecchio in alto. Anche la frattuta era piuttosto scomposta e con pazienza abbiamo tirato e ridotto, apponendo infine i due capi ossei l’uno sull’altro. Abbiamo ingessato la malcapitata, che comunque ora riesce a muovere tutte le dita.
Alle 17 di ieri pomeriggio poi abbiamo ricevuto un caso ancor piu’ mostruoso: ancora una volta si trattava di una donna, vittima di violenza domestica da parte del marito, ed ancora una volta si trattava di “panga”. La furia omicida del marito ha prima causato alla donna un taglio profondo sulla guancia sinistra ed un altro sull’avambraccio destro... quindi si e’ abbattuta con violenza inaudita sull’avambraccio sinistro. La panga e’ diventata tagliente e pesante come una grossa ascia ed ha completamente amputato la poveraccia, che e’ stata portata in ospedale sanguinante e con le ossa esposte... la mano non si sa neppure dove sia stata persa!
Oltre alle suture ed alle procedure di rianimazione, abbiamo dovuto programmare un’amputazione definitiva che ci permettesse di apporre lembi cutanei e muscolari sui monconi ossei... quando sono testimone di tali gesti di inimmaginabile violenza tra sposi, mi chiedo con costernazione dove sia andato quell’amore che si sono promessi un giorno sull’altare. Anche questa donna ce la fara’ a guarire, ma vivra’ con una mano sola: meno male la destra e’ salva! E meno male che non e’ mancina!
Senza chiederglielo, mi domando in cuor mio se, dopo la dimissione, tornera’ a casa dal congiunto: normalmente qui le donne fanno cosi’!
Durante la notte invece e’ arrivato un uomo accoltellato sulla schiena; ancora si e’ trattato di un caso di violenza domestica, ma in questo caso l’assalitore e’ stato la moglie del nostro paziente: la lama e’ penetrata nel torace ed ha causato emo-pneumoperitoneo. Il problema non e’ stata quindi la sutura, in quanto la lama non e’ poi cosi’ larga, ma piuttosto il posizionamento di un drenaggio toracico a pressione negativa.
Anche nel suo caso pensiamo che ce la fara’, pur dopo una ospedalizzazione non breve... ed ancora una volta mi chiedo se i due torneranno a volersi bene come prima.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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