lunedì 30 luglio 2012

Un laparocele post-operatorio


La paziente era venuta in ospedale per  dolore ai quadranti inferiori dell’addome, immediatamente al di sotto dell’ombelico. L’alvo era pero’ aperto a feci e gas, e non lamentava vomito. All’emocromo i globuli bianchi erano solo leggermente mossi, con una conta totale sui 7.000 e leggera granulocitosi del 70%.
Alla palpazione addominale non c’erano segni di occlusione intestinale o di peritonite. All’auscultazione i borborigmi erano presenti, mentre all’ispezione si notava una grossa massa dura ed adesa alla cute, in corrispondenza di una cicatrice laparotomica.
L’immagine ecografica non risultava molto chiara, ma a me pareva trattarsi di un grosso viscere cavo immediatamente al di sotto della cute.
Abbiamo quindi fatto ricorso alla TAC addominale, ed abbiamo avuto conferma che si trattava di una massa attribuibile ad intestino. La radiologa parlava di laparocele post-operatorio, con incarceramento di colon trasverso.
L’arrivo di Michele Sau, esperto chirurgo di Oristano, ci ha permesso di affrontare l’intervento che la paziente necessitava.
In effetti in sala operatoria abbiamo constatato che si trattava di un grossa breccia della fascia muscolare in corrispondenza di un pregresso cesareo (fatto con apertura cutanea ombelico-pubica moltissimi anni prima).
La massa erniata aveva preso aderenze davvero consistenti con la porta erniaria, e la lisi delle medesime e’ stata alquanto laboriosa. All’apertura del sacco abbiamo pero’ constatato che il materiale erniato non era colon transverso ma fortunatamente solo omento, che si era portato dietro il colon senza pero’ costringerlo nell’ernia.
Abbiamo quindi sezionato e legato l’epiploon sofferente, abbiamo preparato accuratamente la fascia, e siamo riusciti a chiudere la porta erniaria con grossi punti staccati in vicryl. Siccome e’ stato possibile chiudere l’aponevrosi senza particolare tensione sulla medesima, abbiamo deciso di non usare una rete (anche considerando l’eta’ della paziente, ormai settantenne).
Dal momento che la malata era intubata e curarizzata, non abbiamo avuto alcun problema chirurgico derivante dall’anestesia, e le anse intestinali sono sempre rimaste molto lontane dalla parete addominale che stavamo chiudendo.
E’ stato un altro bel successo per il nostro ospedale, e senza dubbio un grande aiuto per quella signora che aveva dolore da moltissimo tempo.
Fr Beppe Gaido 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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