giovedì 19 luglio 2012

Vita notturna a Chaaria


Quando spesso si ha l’occasione di essere fuori nelle ore notturne a causa di un cesareo, ci si accorge di quanta vita e di quanto splendore ci sia di notte a Chaaria.
Non e’ infatti infrequente imbattersi in un enorme gufo, una civetta od un barbagianni posati sulla testa della Madonnina che c’e’ davanti alla cucina centrale dell’ospedale... E’ pero’ difficilissimo fotografarli perche’ si dileguano tra l’oscurita’ in un secondo.
Tra i rami degli alberi, protette dalle tenebre, si sente spesso il verso lamentoso delle nostre scimmiette che la gente chiama “kwega”: sono stato fortunato una volta sola, quando, puntando una potente torcia tra le fronde in direzione del verso, sono stato capace di vederne una molto chiaramente: sono di pelle marrone chiaro come quella di Tofi; hanno dei lunghi peli bianchi attorno al musetto, come se fossero degli anziani barbuti, ed hanno un’enorme coda bianca che ricorda quella di uno scoiattolo. Non sono piu’ grosse di un gatto e sono agilissime.
Sotto i lampioni dell’illuminazione si possono poi contemplare delle falene enormi e stupende, il cui manto alare somiglia a meravigliosi arazzi di provenienza orientale. Frequente e’ anche l’incontro con la mantide religiosa, nell’elegante postura verticale da cui il nome deriva: somiglia infatti davvero ad un prete in preghiera con il capo chino e le spalle coperte da un piviale... se pero’ pensi che la mantide mangia la testa del partner dopo l’accoppiamento, non ti pare poi cosi’ religiosa! Inoltre qui la gente non la ama perche’ nella tradizione popolare si crede che la mantide sia la madre di tutti i serpenti.
All’ordine del giorno... o meglio, della notte e’ poi anche l’incontro con enormi cavallette, capaci di salti che ti arrivano fin sopra la testa: le incontri soprattutto nel campo del grande generatore.
Queste ed altre solo le suggestioni notturne di Chaaria, oltre all’impagabile manto di stelle ed alla luna mozzafiato.
Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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