Sono le ore 21 ed abbiamo
appena concluso la solita maratona diurna, nella speranza di non essere
chiamati di notte.
Siamo or ora usciti di
sala dove abbiamo concluso con successo il quarto cesareo della giornata, oltre
alla nutrita lista operatoria... da quando lo sciopero e’ in corso non abbiamo
piu’ orari; il giorno e’ uguale alla notte ed i pasti non durano piu’ di cinque
minuti.
Stasera sono veramente a
pezzi.
Mi tolgo lentamente la
divisa, madida di sudore e sangue per l’ennesima volta.
Ho il cervello piatto e
non riesco quasi a pensare: mi auguro una doccia veloce ed un boccone di cena,
che mi aiutino a recuperare qualche energia per il giro serale che ancora mi
sta aspettando, visto che Antonio non c’e’ piu’.
Mentre mi infilo la maglietta,
pero’, odo in lontananza un suono di sirena appena percettibile. Continuo a
vestirmi e tento disperatamente di illudermi: “sara’ certamente la polizia che
insegue qualche malfattore!”
Ma il fischio si fa
sempre piu’ acuto e inquietante (odio quel rumore dai tempi della mia
adolescenza, quando tante volte abbiam dovuto chiamare il 118 per mio papa!).
Ora lo sento fortissimo;
mi auguro che prosegua dritto verso Kaguma, ma il rumore rimane fermo per
qualche istante, finche’ il cancello dell’ospedale si apre ed sento il motore
del pulmino arrestarsi davanti alla sala di attesa.
Niente da fare! Oggi non
e’ ancora finita!
Istintivamente penso ad
un cesareo, e mando fuori l’ostetrica a controllare la situazione.
Lei pero’ torna
immediatamente e mi dice che si tratta di un caso di violenza. Mi decido quindi ad
uscire.
Gli infermieri della struttura
da cui l’ambulanza proviene mi conoscono; sono molto felici di vedermi, mi
salutano e mi chiamano per nome.
“Beppe, Beppe...il
paziente e’ stato accoltellato”, mi dicono in coro.
Lo portiamo dentro dove
c’e’ un po’ di luce.
Si tratta di un uomo
sulla trentina. Ha un taglio evidente sull’avambraccio sinistro ed un altro sul
torace da cui fuoriescono bollicine di sangue e aria: il coltello ha bucato il
polmone e sicuramente ha un pneumotorace.
Ma la sorpresa piu’
spaventosa e’ quando gli infermieri rimuovono un foulard insanguinato attorno
all’addome: dalla pugnalata sulla fossa iliaca destra e’ fuoriuscito
l’intestino!.
I visceri sono molto
edematosi e sofferenti, ma non paiono necrotici; sono pero’ coperti di terra ed
erba secca.
La mia adrenalina
endogena fa il suo lavoro e d’un tratto mi sento meno stanco.
Chiamo Fr Giancarlo, il
quale accorre ed manda un messaggio a Jesse (che, poverino, era andato a casa un
quanrto d’ora prima). Poi coordina il lavoro di pulizia del malcapitato, mentre
io metto qualcosa sotto i denti.
Prima delle 22 siamo in
sala. Jesse intuba e curarizza il paziente per farci lavorare senza problemi.
Noi apriamo l’addome e riposizioniamo i visceri.
Atanasio (questo il nome
del paziente) ha avuto molta fortuna, perche’ la lama non ha causato
perforazioni intestinali.
Laviamo quindi il
peritoneo, copriamo le anse con teli imbibiti di fisiologica sterile e tiepida,
e, dopo esserci assicurati che le anse sono vitali, richiudiamo la pancia,
lasciando pero’ dei tubi di drenaggio.
Il secondo tempo
operatorio e’ pi la sutura del petto, seguita da inserimento di drenaggio toracico
a pressione negativa.
Da ultimo ci occupiamo
del braccio dove ricostruiamo ventri muscolari e fascia.
In questo lungo lavoro
veniamo assistiti anche da Grazia e Carla: in tutto impieghiamo quasi tre ore e
andiamo a letto all’una.
La cosa che pero’ mi fa
piacere e’ che ora Atanasio e’ stabile. L’enfisema sottocutaneo al torace e’
quasi scomparso; all’auscultazione i polmoni sembrano espandersi rapidamente, e
la situazione addominale e’ incoraggiante.
E’ stato davvero
fortunato, ed e’ nostra fondata speranza che se la cavera’ senza troppi problemi.
Fr Beppe Gaido
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