lunedì 8 ottobre 2012

Kimani


La salute dei nostri ragazzi e’ sempre un mistero. Sembra che stiano bene, perche’ li vediamo giocherelloni e sorridenti, ma poi sovente il tracollo arriva  quando meno ce lo aspettiamo.
Il nostro Adriano Kimani ha iniziato 3 settimane fa con una malaria. Il test era positivo, e lo abbiamo trattato con Coartem. Si e’ sfebbrato ed ha smesso di vomitare, ma non si e’ ripreso completamente: sempre stanco, sovente a letto durante il giorno, e completamente anoressico.
Ho pensato ad una coinfezione da salmonella o da escherichia coli, ma i test mi hanno smentito.
Kimani diceva di star bene, ma lo si vedeva malaticcio. Ho preso un po’ di tempo, sperando che fosse un effetto collaterale dei farmaci antimalarici.
Ha quindi cominciato a dire che aveva dolori epigastrici. Una gastroscopia per lui sarebbe stata improponibile, ed ho percio’ tentato una terapia ex juvantibus con omeprazolo.
Ieri poi e’ andato a Chaaria come al solito, ma alla sera non riusciva piu’ a tornare a casa per il fiatone.
Abbiamo solo allora notato gli arti inferiori estremamente edematosi, ed il turgore delle giugulari.
Marialuisa ha eseguito un ecocardiogramma ed il sottoscritto un ECG: il risultato e’ stato disastroso Kimani ha una grave cardiomiopatia ipocinetica e dilatativa, con sovraccarico ventricolare sinistro ed extrasistoli.
Chissa’ da quanto tempo ha questo problema, e non ce n’eravamo accorti!
Adesso bisognera’ modificare tutte le sue occupazioni nel centro: Kimani ha infatti lavorato tantissimo nel portare la legna da ardere alle cucine. Occorrera’ convincerlo a prendere meno caffe’ ed a non andare a masticare miraa a Chaaria.
Non sara’ facile, ma certamente faremo del nostro meglio.
Abbiamo iniziato oggi una terapia anti-scompenso, e speriamo che il nostro Adriano Kimani si possa sentire meglio prestissimo.
Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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