mercoledì 17 ottobre 2012

Stella Nkatha

Aveva la pelle chiara... cosi’ chiara che nessuno avrebbe dubitato che potesse essere mia figlia.
Era intelligentissima ed estremamente vivace, ma a scuola andava malissimo: non sono mai riuscito ad iscriverla alla prima elementare... continuava infatti a ripetere la baby class. Forse era svogliata o incapace di concentrarsi.
Sapeva anche essere molto viziata e piagnucolare con tutti in modo da ottenere sempre quello che voleva: mangiava solo patatine e beveva soda, e questo ha reso sempre piu’ difficile il reinserimento in famiglia con i nonni, in quanto a casa rifiutava di mangiare. Se dicevo di no per una bibita, anche a scopo educativo, lei sapeva circuire i volontari e poi veniva da me canticchiando e sorbendosi la bibita.
Era alta e snella. Cantava benissimo: mi cantava spessissimo un canto liturgico (sasa wakati umefika), ed anche ora, quando lo sento in chiesa, mi si stringe il cuore.
Le piaceva tantissimo starmi in braccio, ed ancora mi viene da piangere quando ricordoo il suo respiro addormentato sul mio collo. Nei lunghi periodi che trascorreva al Cottolengoper motivi di salute, mangiava sempre vicino a me in refettorio, e poi toccava a me portarla in ospedale in braccio perche’ di solito si addormentava in refettorio pochi minuti dopo il pasto.
L’ho portata al parco, e per la prima volta ha visto gli animali feroci: ha pianto tanto quando una scimmia le ha rubato il panino dalle mani facendola sanguinare un po’.
E’ venuta con me anche all’aeroporto, ed e’ stata a bocca aperta nel veder gli aerei decollare ed atterrare.
In ospedale ero sempre io a prenderle la vena... non la voleva da nessun altro.
Era molto restia a prendere le medicine. Io per altro non ho mai avuto il coraggio o trovato le parole per dirle dell’HIV. Compravo gli antiretrovirali a carissimo prezzo, ma poi mi accorgevo che le compresse che le mettevo in bocca, piu’ tardi lei se le metteva in tasca.
Il suo funerale e’ stato uno strazio.
L’ho portata a casa io in macchina. Era avvolta in un telo.
La cassa l’avevano preparata i nonni e ci attendeva nel villaggio. Il sentiero che si inerpicava sulla collina dove la baracca del nonno era situata era ripido ed impervio. L’auto ha piu’ volte rischiato di impantanarsi.
E’ stata sepolta nella nuda terra, dietro la capanna del nonno.
Ancora adesso, dopo tanti anni, il ricordo di Stella mi riempie di malinconia e di dolore.
La malinconia e’ aumentata in questi giorni, quando ho rivisto il nonno, che mi ha chiesto di dare una mano ad una sua figlia che non riesce a trovare il lavoro.
Rivedere questo vecchio signore arrivare in bicicletta mi ha riportato agli anni che vanno  dal 2000 al 2005, quando ho avuto la gioia di avere una bambina stupenda che mi chiamava papa’, in quanto entrambi i suoi genitori erano morti di AIDS.
Gli ho chiesto se avrei potuto andare a vedere la tomba di Stella per una preghiera.
Lui si e’ stretto nelle spalle e mi ha detto che mi potra’ indicare solo l’area, perche’  sette anni sono passati, e sul tumulo della bimba han deciso di riprendere a seminare il granoturco. Stella e’ ormai terra nella terra, ma rimane sempre nel mio cuore.
Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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