Sto facendo un brutto sogno
che non ricordo. Cio’ di cui conservo la percezione e’ che si trattava di una
scena concitata e ansiogena. E’ gia’ passata la mezzanotte, e sono nelle prime
fasi REM della notte che mi auguro calma e riposante.
Ed invece il cicalino gracchia ripetutamente. Io mi muovo come uno zombi,
facendo fatica, per qualche minuto, a capire che stavo sognando e che ora mi
trovo nella mia camera alla ricerca disperata dell’abat jour. Finalmente lo
trovo, ma il pulsante non da’ alcun segnale di vita: “ah gia’, il black out!”.
Non e’ un’operazione semplice neppure raggiungere il cercapersone, ma lo
identifico sia grazie alla posizione familiare sul comodino, sia sotto la guida
della piccola lucina rossa che lampeggia su di esso. “C’e’ una mamma HIV in
travaglio. Bisogna cesarizzarla subito”, mi urla Evanjeline dal ricevitore.
“Ma non ce la fa a partorire da sola?”... provo ad accenare, in un atto di
tenue autodifesa.
“No! La donna e’ stata informata che il taglio cesareo garantisce piu’ certezze
sul fatto che il figlio non sara’ contagiato”.
“Okay, ho gia’ capito che anche stanotte si balla”.
Chiamo quindi Giancarlo con lo stesso cicalino, e mi preparo a scendere in
ospedale. Ma ecco che si presentano nuovi ed inaspettati problemi. Fuori non
c’e’ la luna e ci circonda il buio assoluto. Tento di cercare le ciabatte, ma
non e’ un’impresa facile. “Dove sara’ la mia pila?”. A tentoni arrivo al tavolo,
che setaccio palpando qua e la’, finche’ la trovo. Esco di camera, ma e’
davvero tutto nero. Quando e’ buio, e’ buio davvero in Africa!
Il cielo invece e’ trapuntato di stelle. Sono miliardi sulle nostre teste:
davvero sempre uno spettacolo mozzafiato. Passo attorno al centro dei Buoni
Figli, completamente avvolto nelle tenebre. Li sento respirare pesantemente nel
sonno, o emettere saltuariamente i loro gridi cadenzati.
L’ospedale non appare quella cattedrale di luci al neon, che mi accoglie di
solito, quando lo raggiungo di notte per una emergenza. Dalle finestre si
scorgono appena i fiochi riflessi delle luci dei pannelli solari.
Arrivo in dispensario. In sala parto, essendo un ambiente ristretto, ci si
vede quasi bene con il neon del pannello.
Le infermiere sono gia’ in uniforme verde da combattimento. La mamma e’
serena, e riposa sulla barella in attesa di essere accompagnata in sala.
Mi avvio all’esterno, e, al secondo colpo, riesco a far partire il
generatore piccolo. D’incanto tutto il dispensario e la piccola sala operatoria
si illuminano, e noi possiamo entrare. Lavoreremo cullati dal noioso ronzare
del motore a benzina che ci sta permettendo di vedere, ma non potremo inserire
l’aria condizionata, perche’ troppo esigente per il modesto gruppo autogeno.
Abbiamo ormai sistemato la donna sul lettino e l’assistente mi offre gli
strumenti per la spinale. Mentre mi metto i guanti, guardo con apprensione alla
marcata scoliosi di quella schiena. “Che Dio ce la mandi buona per questa
puntura lombare... speriamo di non doverla bucare tante volte, sia per non
farla soffrire troppo, sia perche’ e’ anche sieropositiva”.
Come sempre pero’, il Signore lavora con noi e tutto procede per il meglio:
malata bravissima, “bambinone” bellissimo, e nessuna complicazione.
Dopo la chirurgia, aziono nuovamente la chiavetta di accensione ed il
generatore torna a tacere; la vita notturna riprende quindi in un clima di semi
oscurita’: Evanjeline sutura una episiotomia alla luce dei pannelli, ed assiste
il neonato con un aspiratore a pedale. Lydia cerca di prendere la vena ad un
anziano con la stessa fioca luminosita’. Io e Giancarlo salutiamo e ci facciamo
strada nel profondo nero della notte con le nostre torce tascabili. “Che cielo
incredibile... certo che una scena cosi’ ripaga anche del fatto che sono quasi
le due”.
Fr Beppe
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