lunedì 26 novembre 2012

Diversità religiosa

A Chaaria arriva gente da tutti i villaggi. Noi non facciamo distinzioni tra cattolici, musulmani o protestanti. Trovo che arricchisca moltissimo vivere in un contesto di grande diversità religiosa. Solo qui, ci sono sette denominazioni cristiane diverse. 
Da un certo punto di vista però è anche un problema perché spesso la gente non capisce bene quali siano le differenze tra Chiese apparentemente sorelle perché impegnate a predicare lo stesso Dio, ma così distanti su altri punti. 
Purtroppo non è raro che nelle chiese cattoliche si parli male dei protestanti oppure che i riformati predichino apertamente che “chi frequenta la chiesa cattolica sarà condannato alla perdizione”. 
Le differenze sono soprattutto legate a posizioni di ordine pratico. La parte più scottante riguarda il celibato dei preti, che i protestanti non capiscono, e la morale sessuale in genere. Loro accettano l’uso della pillola ad esempio. La pandemia dell'Aids ha portato profonde divisioni, soprattutto riguardo all’uso dei preservativi. 
Il problema è sempre lo stesso: ognuno pensa di essere portatore dell'unica verità e non si accetta il dialogo con chi la pensa diversamente. A noi queste divisioni non interessano. In questi mesi stiamo collaborando con varie chiese protestanti nella prevenzione dell’Hiv e nella promozione dell’igiene pubblica. 
Ultimamente stanno arrivando molti musulmani, soprattutto dal nord del Kenya, dove il novanta per cento della popolazione è di fede islamica. Con loro forse il cammino sarà più complicato, sia perché sono di etnia diversa, quasi tutti somali, sia per via di un modo di pensare molto più complesso di quello delle popolazioni del Meru. 
Ma non vedo assolutamente nessun integralista o nessun fanatico votato alla Jihad. Queste sono cose che si vedono nei film. 
La realtà, per fortuna, un'altra cosa. Usiamo il massimo rispetto, sempre. Chiediamo ai mariti se vogliono essere presenti durante le visite delle loro mogli, e alle donne se sono d'accordo a togliersi il burka. 
Abbiamo predisposto uno spazio in cui i musulmani ricoverati possano stendere i loro tappetini per la preghiera e facciamo grandissima attenzione al Ramadan, cercando di fornire terapie che rompano il digiuno il meno possibile. 
Abbiamo anche modificato il nostro linguaggio: invece di dire che il paziente guarirà “se Dio vuole”, diciamo che si riprenderà “inshallah”, “se Allah vuole”. Capitano momenti di comunione molto intensi, come quando mi dicono che il nostro e il loro Dio sono la stessa persona, o come quando ripetono che la cosa più bella che vedono nel cristianesimo è la carità verso il prossimo. 
Mi auguro davvero che Chaaria possa diventare un’isola di collaborazione e di comprensione tra “noi” e “loro”. Io ci credo profondamente. Questo è il futuro della gente. Qui, e nel resto del mondo. 

Fr Beppe 


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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