sabato 19 gennaio 2013

I disastri della panga

Faith e’ stata presa a pangate dal marito.
Ha riportato ferite multiple sul volto.
Un fendente che l’ha raggiunta da sinistra ha sezionato in due il padiglione auricolare, la guancia sinistra ed il labbro inferiore, causandole anche una frattura della mandibola.
La sutura e’ stato un lavoro da certosino, soprattutto nella ricostruzione dell’orecchio, ma non e’ stato al di sopra delle nostre possibilita’.
Il vero problema era invece la frattura mandibolare.
Ci siamo quindi affidati alla competenza di due specialisti: Il Dr Luciano Cara come ortopedico, ed il Dr Giuseppe Farmese come chirurgo orale.
L’intervento chirurgico e’ stato molto lungo ed indaginoso, con paziente in anestesia generale. Il pezzo staccato della mandibola e’ stato ridotto nella sua sede, ed e’ stato fissato con viti e con un filo di Kirshner.
La donna e’ stata quindi medicata con bendaggio occlusivo e compressivo, mentre abbiamo assicurato la sua nutrizione con un sondino nasogastrico.
La foto dimostra la buona riduzione della rima di frattura con gli infissi ortopedici in situ.
I punti di sutura sono stati tutti rimossi ieri, e la paziente e’ stata dimessa. Rimarra’ con la bocca serrata per altre due settimane.





A questo punto toglieremo il filo di Kirshner ed il sondino nasogastrico. Inizieremo quindi una prudente riabilitazione e fisioterapia.

Il caso di Faith ci ricorda nuovamente, se ce ne fosse stato bisogno, che la panga e’ per noi un problema traumatologico enorme che a volte ci pone di fronte a situazioni quasi irresolubili. Da ultimo poi sottolinea nuovamente l’insostituibile contributo che i volontari offrono al Cottolengo Mission Hospital ed alla sua missione di servizio.



Fr Beppe



Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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